Contro il muro che separa il terrazzo dalla cucina
schiaccio un gran numero di formiche. Una colonia d'insetti si è insediata
negli stipiti della finestra. Le formiche sono indaffarate. In un viavai
continuo attraversano la parete. Da dove provengano non è chiaro. Dal sottotetto,
forse. Penetrano nella fessura trasportando frammenti di cibo. Li depositano. Ripartono.
Sono le provviste per resistere all'inverno. Le ammazzo. Spazzolo via i corpi.
A un certo punto vedo che una formica è rimasta attaccata al muro. È agonizzante.
Tra le formiche in fuga, un’altra interrompe la sua corsa, le si ferma vicino.
La raccoglie. Sotto l’indice mio sospeso compie una strana manovra, con le
zampe, un movimento di sollevamento, ma circolare. Si è caricata la formica
morente sul dorso. Si trascinano, perché la formica in fin di vita è più
pesante della sua trasportatrice. Che procede sbandando, per trenta, quaranta,
cinquanta, sessanta secondi, sul muro deserto, che le altre formiche, sapendo
essere spazio di morte, hanno abbandonato. Sotto l’indice mio sospeso la
formica soccorritrice si trascina, in uno sforzo disumano, una tensione concentrata
nelle zampe che nessun mirmecologo mai potrà misurare, mai. Perché lo fa? Perché
rischia la vita? Potrebbe scappar via, sotto l’indice mio sospeso, perché?
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