mercoledì 28 marzo 2012

Descrizione della sigla del telefilm Nero Wolfe




La sigla di Nero Wolfe sono dei palazzi molto alti e stretti che staccandosi da un labirinto di strade perforano il cielo della metropoli americana, e poi un ponte lunghissimo che trasporta una scia di macchine che marciano come formiche. E all'improvviso compare un marciapiede affollato di gente che cammina e ha fretta, con altre macchine parcheggiate e dei sacchi di pattumiera appoggiati ai muri delle case e scale smilze e diagonali che si arrampicano alla parete fin su in cima. E poi scende la notte, i palazzi si trasformano in ombre tenebrose ma profonde ed elettriche e giù nella strada le persone rallentano il passo poi smettono di camminare e si riuniscono in gruppi che discutono o fumano la sigaretta mentre tutt'intorno delle luci fosforescenti bucano il buio, e compongono iscrizioni in una lingua sconosciuta che Sara dice è l'inglese oppure dei disegni che sono come i personaggi dei cartoni animati, fanno esplodere i colori che però non si vedono, dato che in televisione tutto è bianco e nero e grigio. È un reame fantasmagorico, il sogno di una notte che la prossima notte non si ripeterà né la notte dopo né mai più, e viene la voglia di trovarsi lì.

Seduta al tavolo del tinello, avevo strappato un foglio dal Quaderno delle Parole e scritto questa Descrizione. Avevo fatto parecchie cancellature, cambiato parole, le avevo riscritte corrette, controllando sul Nuovissimo Dizionario che le lettere doppie fossero esatte e le 'h' al posto giusto.
Arrivata alla frase ultima, il telefilm stava finendo. «Buona giornata», diceva Archie Goodwin al detective Nero Wolfe. «Oh, non direi!» rispondeva lui, che era nella serra intento a zappare le orchidee, «la Cattleya Amethyglossa è malata! È arrivato il nuovo fertilizzante che abbiamo ordinato al negozio di Compton Street?».
[da Le descrizioni, Bologna, Perdisa pop, pp.72-73, in uscita oggi]

domenica 25 marzo 2012

Estratto e-book di 'Le descrizioni'

Potete intanto scaricarvi gratuitamente un estratto dell'e-book di 'Le descrizioni' a questo indirizzo:
http://www.bookrepublic.it/book/9788883725838-le-descrizioni-estratto/
Da mercoledì 28, il romanzo è in libreria, edito da Perdisa.




giovedì 22 marzo 2012

Democrazia

La Rossana abita nell'appartamento al piano di sopra, va in quarta elementare ed è la mia migliore amica. Ogni pomeriggio, mentre Sara studia in salotto con le sue compagne di Università, ho il permesso che giochiamo in camera mia alle interviste dei personaggi Vip.
Le interviste sono un genere di conversazione libera di nostra invenzione e a volte io e la Rossana crepiamo anche dalle risate per gli argomenti e i personaggi che intervistiamo. Don Lurio, per esempio, papa Paolo VI, Diana Ross, Felice Gimondi.
Le domande che il giornalista pone possono essere le più disparate. Non fissiamo limiti in nessun caso: si può chiedere tutto quello che si è curiosi di sapere.
Prima di cominciare l'intervista, una di noi, a turno, chiude gli occhi, apre la “Settimana enigmistica” di Sara e punta il dito indice sulla pagina, a caso indicando una parola. E questa, col suo significato, è obbligatorio che la usiamo nell'intervista.


 
 Democrazia saltò fuori quel pomeriggio.
La Rossana ebbe l'idea del personaggio Vip da intervistare: un principe.
«Quale principe?» chiesi. In Italia infatti non c'è il re ma il presidente. L'Italia è una repubblica, dice la maestra.
«Il principe Valerio Borghese», disse la Rossana.
«E chi è?».
«Se non lo conosci, tu fai la giornalista».
«Va bene. Buongiorno signor principe», dissi.
«Buongiorno signorina giornalista».
«I nostri amici della televisione Primo Canale vogliono sapere da te perché sei diventato personaggio Vip».
«Perché ho fatto una cospirazione».
«Cosa intendi?».
«Ho formato una banda criminale che con la forza voleva comandare l'Italia».
«Ma in Italia governa il presidente».
«Ho detto comandare, non governare».
«Con la forza, solo i banditi si impongono».
«Io non sono un bandito: sono un principe».
A quel punto, mi sedetti alla scrivania. Feci finta di staccare la cornetta di un telefono immaginario collegato al muro e dissi: «Pronto, polizia, qui c'è un principe che odia la democrazia».
«Che cos'è, signorina giornalista, la democrazia?».
«Che l'Italia, la governa il popolo italiano».
«Il popolo? Tu non saresti capace di governare nemmeno una mosca! Io sono il capo supremo e della democrazia, me ne infischio!».
«Sei in arresto, allora».
Il principe-Rossana scappò in bagno. Si chiuse dentro girando la chiave nella serratura.
Corsi davanti alla porta: «Esci di lì!».
Picchiai tanto che alla fine si arrese.
«La legge è uguale per tutti, caro principe», dissi.
[da Le descrizioni]

venerdì 16 marzo 2012

Preghiera

Davanti il portone di casa mia, c'è un piccolo altare. È incassato nella profondità del torresotto, con un vaso di fiori finti e l'immagine della Madonna col bambino dipinta sul muro, protetti da una grata. Dal fondo della via, guardando dritto a quel punto, è possibile incappare in una specie di miraggio: avere la suggestione che ci sia una persona, sul marciapiede, inginocchiata in preghiera davanti la Madonna. Poi appena ci si avvicina, subito si capisce l'inganno. Che la sagoma scura, visibile anche da lontano, non è quella di un essere umano. Si tratta di un gruppo di biciclette, ciascuna collegata col lucchetto alla grata del torresotto. Biciclette abbandonate lì, per qualche sconosciuta ragione: scheletri metallici, senza ruote né manubrio che solo aspettano di essere rimossi. Eppure quando il vigile urbano se li porta via, in quel preciso tratto del marciapiede, si ha la nitida sensazione di un vuoto. Il vuoto della suggestione di una persona inginocchiata in preghiera sotto il portico.

martedì 13 marzo 2012

So it goes


A un giornalista che gli chiedeva quale fosse il tema principale dei suoi romanzi, Kurt Vonnegut rispose: «Levar via merda da quasi ogni cosa».
[dalla prefazione a ‘Benvenuta nella gabbia delle scimmie’, a cura di Franco Garnero, Milano, SE, 1991, pag.16]

giovedì 8 marzo 2012

Festa delle donne


A casa, accesi la tivù. «In un paese degli Abruzzi», disse il giornalista, «si produce una ricotta speciale». «Speciale perché?» chiese il suo interlocutore. «Perché frutto della lavorazione di manodopera esclusivamente femminile», replicò lui. «E quale sarebbe la differenza tra manodopera maschile e quella invece femminile?» domandò il giornalista. L'uomo sorrideva malizioso. Spensi.

mercoledì 7 marzo 2012

Bugiardo

Sul marciapiede di via dell'Indipendenza, davanti l'ingresso della banca Intesa Sanpaolo, fateci caso, c'è un pittore seduto su uno sgabello pieghevole, da picnic. Il grembiule girato in vita, la tavolozza dei colori distesa sulle cosce, dipinge una tela. Siede al tipico cavalletto da pittore, dell'Ottocento. I passanti distratti gli camminano intorno. Qualcuno si ferma a guardare. Ma che cosa spinge questo pittore a creare lungo la strada più affollata della città? mi domando. Ha per caso deciso di dipingere la gente a passeggio? Oppure la sua è piuttosto una provocazione, che con una specie di performance intende simboleggiare il caos della vita moderna? Qual è il soggetto del suo quadro? Mi fermo anch'io a guardare. Eccolo qui: un paesaggio di montagna, un torrente, il ponticello di legno che lo attraversa, le cime dei monti innevate, un pastore che pascola il gregge, il cane che rincorre le pecore lontane. Niente che abbia a che fare con quel luogo, quel momento. Questo pittore, seduto su uno sgabello pieghevole, su via dell'Indipendenza, dipinge una scena del tutto inventata, di sua fantasia. «Carino», dice la gente. «Decorativo», dice. «Sei un bugiardo», gli dico io.

giovedì 1 marzo 2012

4 marzo 1943

La domenica seguente mia madre e Sara litigarono furiosamente.
Avevano appena finito di sparecchiare la tavola. In tivù c'era un programma di musica pop. Il presentatore intervistava il cantante Lucio Dalla che è diventato famoso perché al Festival della Canzone Italiana di quest'anno si è classificato al posto numero tre.
La sua canzone, Sara mi ha detto che parla di un bambino che sua madre partorisce in un porto di mare e il padre è sconosciuto. L'unica informazione su di lui è che è sbarcato un giorno da una nave e dunque dev'essere un marinaio o un capitano di vascello, direbbe Gigi. Il presentatore domandò a Lucio Dalla se quell'idea gli era venuta su ispirazione della sua vita personale. Lucio Dalla rispose che sua madre lavorava come sarta nella città di Bologna veramente, e suo padre era morto quando ancora era bambino e comunque da vivo dirigeva un centro dove per sport uccidono gli uccelli in volo e poi il porto a Bologna non c'è, diceva. Il presentatore domandò perché il bambino protagonista della canzone, aveva deciso di chiamarlo Gesù, come Gesù il figlio di Giuseppe e Maria. Lucio Dalla rispose che gli era sembrato poetico un nome così.
«Poetico?» disse mia madre. «Scherza coi fanti, dice il proverbio, ma non scherzar coi santi!».
«E perché sarebbe vietato chiamarlo Gesù?» disse Sara. «Perché è il figlio di una puttana?».
Mia madre prese la sorella per la spalla: «Senti, signorina, che sia l'ultima volta che ti sento dire certe parolacce, intesi?». La faccia le era diventata come di cuoio.
«Altrimenti cosa mi fai?» disse Sara. «Mi proibisci di guardare la televisione come mi proibivi di parlare con Gianni?».
Quando pronunciò la parola 'Gianni', che da molti mesi ormai è stata radiata dal vocabolario della famiglia e col divieto assoluto di nominarla (Gianni era il fidanzato della sorella che però già sposato era) capii che sarebbe scoppiato il putiferio. Anche se Lucio Dalla nella conversazione col presentatore aveva già da un po' cambiato argomento. Raccontò che da bambino aveva studiato al collegio, che un giorno sua madre gli aveva regalato una fisarmonica con la quale Lucio Dalla si era esibito alla recita scolastica e i suoi compagni lo avevano applaudito. Ma ormai il programma di musica pop non interessava più a nessuno, penso.
«BRUTTA SMORFIOSA», urlò mia madre, «LO SAI CHI CI VA, CON GLI UOMINI SPOSATI?».
«No, dimmelo tu ». Sara stava in piedi davanti alla tivù.
«Le donnacce, ci vanno», disse mia madre.
«Puttane», disse la sorella. «Si chiamano PUTTANE», ripeté.
Così mia madre le mollò una sberla.
In quel momento entrò mio padre che era stato in camera a prendere dall'armadio la vestaglia scozzese da infilarsi sulla camicia, per non sporcarsela. Vide Sara con gli occhi lucidi e la mano premuta alla guancia.
«Che cosa succede, ragazze?».
«Tua figlia si comporta come una poco di buono», disse mia madre.
«Questa qui!» disse Sara, «i preti le hanno messo in testa che bisogna arrivare vergini al matrimonio! SPIACENTE DELUDERTI, MAMMINA», le strillò in faccia, «MA CI SONO GIA' ANDATA A LETTO, CON UN UOMO, E CI HO ANCHE GODUTO!».   

 Il lunedì non si rivolsero la parola. «Mika, mi passi lo zucchero?» diceva la sorella tipo, mentre mia madre era seduta con noi al tavolo della cucina, stava proprio versandone un cucchiaino nel suo caffè, e teneva la zuccheriera stretta in mano, non la mollava.« Chiedi un po' a tua sorella se oggi pomeriggio intende lavarsi i capelli», mi diceva, «che in questo caso bisogna accendere lo scaldabagno già da stamattina». «Sara», dicevo, «ti lavi i capelli oggi pomeriggio?». «Non sono affari tuoi», rispondeva. Mia madre metteva nel lavandino le tazze e prima di prepararsi per andare alla ferramenta da mio padre, in tinello stirava delle camicie. «Stupidina», sentivo che diceva tra sé mentre premeva il ferro sull'asse, «TIENITELA STRETTA!» diceva poi a voce più alta rivolta verso la cucina di modo che Sara potesse sentirla, «NON DARLA VIA COSI' AL PRIMO CORNUTO!». La sorella chiudeva la porta sbattendola in uno schianto tremendo che faceva vibrare le pareti.
[remix da Le descrizioni]