mercoledì 22 maggio 2013
giovedì 16 maggio 2013
Aneddoto quinto
Il 14 maggio 1931 Arturo Toscanini
è invitato al teatro comunale di Bologna, a dirigere un concerto in memoria di
Giuseppe Martucci, emerito direttore d’orchestra della città. In prima fila, in
platea, siedono il ministro Costanzo Ciano e il funzionario Leandro Arpinati.
Al cospetto dei due gerarchi fascisti, al direttore viene impartito l’ordine di
eseguire Giovinezza poi l’Inno reale. Quello di ripetere gli inni
fascisti prima dei concerti fa parte del protocollo. «No», dice Toscanini.
Getta la bacchetta a terra. Lascia il palcoscenico. In teatro è scompiglio
generale. All’ingresso laterale ci sono delle camice nere che lo aspettano.
Schiaffeggiano Toscanini. Il maestro si precipita all’hotel Brun. «Deve
lasciare subito la città», ordina il federale Mario Ghinelli, «altrimenti
rischia grosso. La pelle, per la precisione». La sera stessa, il compositore
bolognese Ottorino Respighi lo accompagna in stazione e mette sul primo treno
in partenza per Roma. Il 19 maggio, all’unanimità, l’Assemblea regionale dei
professionisti e artisti dichiara: «Deploriamo il contegno assurdo e
antipatriottico del maestro Arturo Toscanini». È a quel punto che il direttore
scrive a Benito Mussolini in persona. Sì, avete capito bene: Toscanini, su
tutte le furie, scrive una lettera di ferrea protesta indirizzata direttamente
al Duce. Poi lascerà l’Italia, i fatti andranno come sappiamo. Eppure, non so
voi, ma a me l’immagine di Arturo Toscanini, seduto alla scrivania, intento a
comporre una lettera di lamentele al nano dittatore, mette di buon umore.
sabato 11 maggio 2013
Si contentano
Ricerco libri di diverso genere,
che siano insieme, per gli autori da cui sono stati scritti e per gli argomenti
che trattano, compagni graditi e assidui, e pronti a uscire in pubblico o a
ritornare nel cassetto al tuo comando, e sempre disposti a tacere e a parlare,
a rimanere in casa e ad accompagnarti nei boschi, a viaggiare, a starsene in campagna,
a chiacchierare, a scherzare, a incoraggiarti, a confortarti, a consigliarti, a
rimproverarti e a prendersi cura di te, a insegnarti i segreti delle cose, e le
memorie delle imprese, e norme di vita, e il disprezzo della morte, la
moderazione nella buona fortuna, la forza nell’avversa, l’imperturbabilità e la
costanza nel tuo comportamento: compagni dotti, lieti, utili e fecondi, che non
ti sono causa di noia, né di spesa, né di lamenti, né di mormorii o d’invidia,
né d’inganni. E mentre ci danno tanti vantaggi, si contentano di una piccola
parte della casa e di una veste modesta, senza aver bisogno di cibo né di
bevanda alcuna, mentre sono proprio essi che ai loro ospiti procurano
inestimabili ricchezze spirituali, vaste abitazioni, splendide vesti e
piacevoli conviti e cibi dolcissimi.
[Francesco Petrarca, La vita
solitaria – libro secondo, op. cit., p.557]
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