giovedì 16 maggio 2013

Aneddoto quinto


Il 14 maggio 1931 Arturo Toscanini è invitato al teatro comunale di Bologna, a dirigere un concerto in memoria di Giuseppe Martucci, emerito direttore d’orchestra della città. In prima fila, in platea, siedono il ministro Costanzo Ciano e il funzionario Leandro Arpinati. Al cospetto dei due gerarchi fascisti, al direttore viene impartito l’ordine di eseguire Giovinezza poi l’Inno reale. Quello di ripetere gli inni fascisti prima dei concerti fa parte del protocollo. «No», dice Toscanini. Getta la bacchetta a terra. Lascia il palcoscenico. In teatro è scompiglio generale. All’ingresso laterale ci sono delle camice nere che lo aspettano. Schiaffeggiano Toscanini. Il maestro si precipita all’hotel Brun. «Deve lasciare subito la città», ordina il federale Mario Ghinelli, «altrimenti rischia grosso. La pelle, per la precisione». La sera stessa, il compositore bolognese Ottorino Respighi lo accompagna in stazione e mette sul primo treno in partenza per Roma. Il 19 maggio, all’unanimità, l’Assemblea regionale dei professionisti e artisti dichiara: «Deploriamo il contegno assurdo e antipatriottico del maestro Arturo Toscanini». È a quel punto che il direttore scrive a Benito Mussolini in persona. Sì, avete capito bene: Toscanini, su tutte le furie, scrive una lettera di ferrea protesta indirizzata direttamente al Duce. Poi lascerà l’Italia, i fatti andranno come sappiamo. Eppure, non so voi, ma a me l’immagine di Arturo Toscanini, seduto alla scrivania, intento a comporre una lettera di lamentele al nano dittatore, mette di buon umore.

 

sabato 11 maggio 2013

Domanda: vorremmo sapere qual è la sua opinione sul maquillage della donna - Risposta: è un argomento che non m'interessa affatto [spezzone di programma Rai con Alberto Moravia - c'è anche Indro Montanelli che fa il furbo]


Si contentano

Ricerco libri di diverso genere, che siano insieme, per gli autori da cui sono stati scritti e per gli argomenti che trattano, compagni graditi e assidui, e pronti a uscire in pubblico o a ritornare nel cassetto al tuo comando, e sempre disposti a tacere e a parlare, a rimanere in casa e ad accompagnarti nei boschi, a viaggiare, a starsene in campagna, a chiacchierare, a scherzare, a incoraggiarti, a confortarti, a consigliarti, a rimproverarti e a prendersi cura di te, a insegnarti i segreti delle cose, e le memorie delle imprese, e norme di vita, e il disprezzo della morte, la moderazione nella buona fortuna, la forza nell’avversa, l’imperturbabilità e la costanza nel tuo comportamento: compagni dotti, lieti, utili e fecondi, che non ti sono causa di noia, né di spesa, né di lamenti, né di mormorii o d’invidia, né d’inganni. E mentre ci danno tanti vantaggi, si contentano di una piccola parte della casa e di una veste modesta, senza aver bisogno di cibo né di bevanda alcuna, mentre sono proprio essi che ai loro ospiti procurano inestimabili ricchezze spirituali, vaste abitazioni, splendide vesti e piacevoli conviti e cibi dolcissimi.
[Francesco Petrarca, La vita solitaria – libro secondo, op. cit., p.557]