C’è la frase, scritta da Jack Kerouac,
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un
altro mondo nel quale andare…
C’è il Nerone imperatore agghindato
come da copione dell’opera di Mascagni. «Nerone», ci dice Pippo Delbono, che
siede in fondo alla platea, nell’oscurità, con la sua giacchetta gialla, «non
fu destituito dal trono a causa dello scandaloso comportamento libertino, bensì
obbligato a soccombere dal senato romano, al quale si era opposto». Ma dài.
C’è papa Ratzinger che davanti
alle acrobazie ginniche della squadra di giovani e muscolosi atleti, si addormenta
(oppure dorme già). C’è l’ex consigliere Nicole Minetti, prima tutta chiappe in
pedana poi nell’intervista che dice: «Prima di tutto io sono una donna». Ma pensa.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
No.
C’è invece il braccio esanime ed
esangue di una madre deposta sul letto di morte, le ultime parole pronunciate (quali
saranno le nostre, eh? Ve lo siete chiesto mai?), e poi le parole che ha
pronunciato quando era in vita, che hanno fatto ridere e imbarazzato, perché
mettevano in piazza i fatti della famiglia, ché li raccontava al panettiere…
(Pippo Delbono, ti capisco: succedeva anche a me. Mia madre se ne usciva sul balcone
e parlava con la vicina del balcone dall’altro lato della strada!)
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
Così.
E di fronte alla morte - ditemi
un po’ voi, che forse lo sapete - delle massime dei filosofi, degli slogan
poetici, letterari, che cosa diavolo ce ne facciamo? Ditemelo su.
«Avete qualcosa in contrario», dice
il regista, «a che io vi racconti questi fatti, di me?... Chi lo stabilisce,
che a teatro ci si debba divertire?». E per non scontentare del tutto il
pubblico, spedisce in platea un attore, a offrir due pasticcini.
«Il teatro, dice Bergman», ci
dice Delbono, «sono due persone che s’incontrano. Tutto il resto è secondario».
È proprio così.
Finché sul palco si materializza un’attrice,
che ci confessa che questo regista, il teatro lo annoia proprio… e così,
anziché recitar la sua parte, lei ha avuto l’idea di organizzarci una bella
asta: la messa in vendita dei quadri di quella sua parente defunta… «Per tirar
su un po’ di soldi», dice, «di questi tempi». La vita è fatta di opportunità,
relazioni, si capisce.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
Perché c’è la vita vera e la vita
fasulla. Carne vs. plastica.
Le orchidee, per esempio, sono un
perfetto caso di ‘imitation of life’. Per capire se un’orchidea è autentica, è infatti
necessario toccarla. Conviene allora - così dice una signora alla sua amica, ci
racconta il regista – tenerne in salotto due esemplari: uno coi petali, l’altro
finto.
Ma allora, direte voi, che cosa
aspettiamo a scatenare la rivoluzione?
Su questo punto, Jean-Paul Marat
taglia corto: «A che serve fare la rivoluzione?» dice, «siamo solo dei
pezzenti». Tzàc. Oppure «pachidermi», dice Pippo Delbono, «animali molto soli».
Molto, dice.
E il suo ballo sul palco,
squinternato, sbilenco, è solitudine, follia pura. E tra i due, la follia pura
è la dimensione più sana, credetemi.
E gli attori di questa stramba
compagnia… il sordomuto Bobò, per esempio, gettato sul palco dopo quarant’anni
di manicomio… be’, quelli siamo noi. Bobò c’est moi.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
Non c’è, no.
È corretta la frase di Anaïs Nin,
quando dice: «L’artista si fa artista perché ha bisogno di crearsi un mondo in
cui vivere, un luogo nel quale ricrearsi, quando è spossato dalla vita». Esatto,
Anaïs.