martedì 26 novembre 2013

Descrizione dello spettacolo ‘Orchidee’ - regia di Pippo Delbono - Arena del Sole - Bologna - 21/23 novembre 2013

C’è la frase, scritta da Jack Kerouac, Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
C’è il Nerone imperatore agghindato come da copione dell’opera di Mascagni. «Nerone», ci dice Pippo Delbono, che siede in fondo alla platea, nell’oscurità, con la sua giacchetta gialla, «non fu destituito dal trono a causa dello scandaloso comportamento libertino, bensì obbligato a soccombere dal senato romano, al quale si era opposto». Ma dài.
C’è papa Ratzinger che davanti alle acrobazie ginniche della squadra di giovani e muscolosi atleti, si addormenta (oppure dorme già). C’è l’ex consigliere Nicole Minetti, prima tutta chiappe in pedana poi nell’intervista che dice: «Prima di tutto io sono una donna». Ma pensa.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare… No.
C’è invece il braccio esanime ed esangue di una madre deposta sul letto di morte, le ultime parole pronunciate (quali saranno le nostre, eh? Ve lo siete chiesto mai?), e poi le parole che ha pronunciato quando era in vita, che hanno fatto ridere e imbarazzato, perché mettevano in piazza i fatti della famiglia, ché li raccontava al panettiere… (Pippo Delbono, ti capisco: succedeva anche a me. Mia madre se ne usciva sul balcone e parlava con la vicina del balcone dall’altro lato della strada!)
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare… Così.
E di fronte alla morte - ditemi un po’ voi, che forse lo sapete - delle massime dei filosofi, degli slogan poetici, letterari, che cosa diavolo ce ne facciamo? Ditemelo su.
«Avete qualcosa in contrario», dice il regista, «a che io vi racconti questi fatti, di me?... Chi lo stabilisce, che a teatro ci si debba divertire?». E per non scontentare del tutto il pubblico, spedisce in platea un attore, a offrir due pasticcini.
«Il teatro, dice Bergman», ci dice Delbono, «sono due persone che s’incontrano. Tutto il resto è secondario». È proprio così.
Finché sul palco si materializza un’attrice, che ci confessa che questo regista, il teatro lo annoia proprio… e così, anziché recitar la sua parte, lei ha avuto l’idea di organizzarci una bella asta: la messa in vendita dei quadri di quella sua parente defunta… «Per tirar su un po’ di soldi», dice, «di questi tempi». La vita è fatta di opportunità, relazioni, si capisce.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare…
Perché c’è la vita vera e la vita fasulla. Carne vs. plastica.
Le orchidee, per esempio, sono un perfetto caso di ‘imitation of life’. Per capire se un’orchidea è autentica, è infatti necessario toccarla. Conviene allora - così dice una signora alla sua amica, ci racconta il regista – tenerne in salotto due esemplari: uno coi petali, l’altro finto.
Ma allora, direte voi, che cosa aspettiamo a scatenare la rivoluzione?
Su questo punto, Jean-Paul Marat taglia corto: «A che serve fare la rivoluzione?» dice, «siamo solo dei pezzenti». Tzàc. Oppure «pachidermi», dice Pippo Delbono, «animali molto soli». Molto, dice.
E il suo ballo sul palco, squinternato, sbilenco, è solitudine, follia pura. E tra i due, la follia pura è la dimensione più sana, credetemi.
E gli attori di questa stramba compagnia… il sordomuto Bobò, per esempio, gettato sul palco dopo quarant’anni di manicomio… be’, quelli siamo noi. Bobò c’est moi.
Questo mondo mi fa schifo ma non c’è un altro mondo nel quale andare… Non c’è, no.
È corretta la frase di Anaïs Nin, quando dice: «L’artista si fa artista perché ha bisogno di crearsi un mondo in cui vivere, un luogo nel quale ricrearsi, quando è spossato dalla vita». Esatto, Anaïs.
 
 
 
 

domenica 24 novembre 2013

Francesco Petrarca - 'E lubrico sperar su per le scale' feat. Lucio Dalla - 'Disperato erotico stomp'

E vidi a qual servaggio, et a qual morte,
a quale strazio va chi s’innamora:
errori e sogni et imagini smorte
eran d’intorno a l’arco triumfale,
e false opinioni in su le porte,
e lubrico sperar su per le scale,
e dannoso guadagno ed util danno,
e gradi ove più scende chi più sale;
stanco riposo e riposato affanno,
chiaro disnore e gloria oscura e nigra,
perfida lealtate e fido inganno,
sollicito furor e ragion pigra,
carcer ove si vèn per strade aperte,
onde per strette a gran pena si migra,
ratte scese a l’entrare, a l’uscir erte,
dentro confusion turbida e mischia
di certe doglie e d’allegrezze incerte.
[Francesco Petrarca, op.cit., pp.190-192]

 

sabato 23 novembre 2013

Le mani armate, e gli occhi avolti in fasce


Or so come da sé ‘l cor si disgiunge,
e come sa far pace, guerra, e tregua,
e coprir suo dolor quand’altri il punge;
e so come in un punto si dilegua
e poi si sparge per le guance il sangue,
se paura e vergogna avèn che ‘l segua;
so come sta tra’ fiori ascoso l’angue,
come sempre tra due si vegghia e dorme,
come senza languir si more e langue;
so de la mia nemica cercar l’orma,
e temer di trovarla, e so in qual guisa
l’amante ne l’amato si transforme;
so tra lunghi sospiri e brevi risa
stato, voglia, color cangiare spesso,
viver stando dal cor l’alma divisa;
so mille volte il dì ingannar me stesso;
so, seguendo ‘l mio foco ovunque e’ fugge,
arder da lunge et agghiacciar da presso;
so come Amor sovra la mente rugge,
e come ogni ragione indi discaccia,
e so in quante maniere il cor si strugge;
so di che poco canape s’allaccia
un’anima gentil, quand’ella è sola,
e non v’è chi per lei difesa faccia;
so come Amor saetta, e come vola,
e so com’or minaccia et or percote,
come ruba per forza e come invola,
e come sono instabili sue rote,
le mani armate, e gli occhi avolti in fasce,
suo promesse di fé come son vòte;
come nell’ossa il suo foco si pasce,
e ne le vene vive occulta piaga,
onde morte e palese incendio nasce.
[Francesco Petrarca, Triumphi, Milano, Mursia, pp.156-161]