venerdì 27 luglio 2012

A cena con Tilly


‘Al parco divertimenti di Seaworld a Orlando, Florida, un'orca ha ucciso la sua addestratrice. L'ha afferrata tra le fauci, spinta sul fondo della piscina e trascinata su, attraverso la vasca, davanti al pubblico presente nell'emiciclo del centro sportivo, inerte e inorridito’. La notizia è solo un trafiletto sul giornale che leggo in un bar di via dell'Indipendenza, questa mattina.
L'addestratrice sta spiegando al pubblico come si svolgerà l'esibizione dell'orca, uno spettacolo intitolato 'A cena con Tilly'. L'addestratrice lavorava con quell'orca da dieci anni. Un etologo esperto di cetacei spiega che Tilly non voleva uccidere: solo giocare. Ma l'habitat naturale delle orche non è una piscina coperta, bensì l'oceano. Per fare un esempio, dice l'etologo: sarebbe come rinchiudere un uomo in una stanzetta di pochi metri, e dirgli che mai più potrà uscire di lì. Un giorno entri per portargli un caffè, dice, e quello ti cava gli occhi.
Chiudo il giornale. Pago il caffè. Mi scappa da ridere.
Il barista mi guarda.
«Tenersi allegri fa bene», dice. «Allunga la vita».

giovedì 26 luglio 2012

So it goes #2

«Un popolo felice», dice Gafyn Llawgoch, «vuole migliorare la propria condizione, uno infelice cancellarla». «Se ti tagli lo stipendio», dice la Nestlè, «ti assumiamo il figlio». «Tutto bene?» mi dice la commessa, «hai trovato quel che cercavi?».

So it goes, dice Kurt.

martedì 24 luglio 2012

Lasagnàtt vàird_ green lasagna

Un sabato mi telefonò Clizia.
«A questo giornalista gastronomico interessa approfondire l'origine e la storia della lasagna. È una personalità. Membro dell'Antica Confraternita degli Amici della Sfoglia. Socio dell'Accademia della Cucina Tradizionale. Presidente del Circolo Nazionale della Pasta Ripiena. E inviato speciale di una famosa rivista internazionale di haute cuisine».
«Haute che?».
«Haute cuisine! Ma non lo parli, il francese, bambina? Fareste bene a spegnerla ogni tanto, voi giovani, questa MTV. Guardarvi qualche buon documentario. Ieri sera, per esempio, mi sono vista un interessante reportage sui tesori del Brenta».
«Io non sono giovane, Clizia. Non guardo MTV».
«Mika: ti prego di non deludermi».
Poi disse che in quei giorni, al suo bed and breakfast ospitava una coppia di finlandesi. Che la sera precedente si erano visti il documentario 'Vesuvio, un gigante addormentato' per ben tre volte di seguito. Non capivano cose spinge la gente a scegliere di abitare proprio ai piedi di un vulcano.
«Il precipizio», le dissi, «il precipizio».

 
Era barbuto, questo giornalista, peluria color paglia, l'incrocio tra un porco e un pony. Aveva uno strano modo di stringere la lingua tra i denti. Camminammo in direzione della Gastronomia dei Ricchi.
Si tratta del negozio di alimentari più elegante della città. Impossibile rimanere indifferente, passandoci davanti. Una micca di pane può diventare qualcosa di sfarzoso. La Famiglia dei Ricchi ne è proprietaria da quattro generazioni. Un tempo gli apparteneva l'intero palazzo, che occupa l'isolato, lo stesso del TdM, a lato di piazza Maggiore. Mr Pig e la Famiglia dei Ricchi governano questa fetta della città.
Il fondatore abitava un modesto appartamento sopra la bottega originale, in via Pescherie Vecchie. Era un panettiere d'ingegno, un uomo generoso, si dice. L'ultimo nipote è suo omonimo. È un ragazzo timido, che guarda alle spese, con la paura di non essere altezza. Dall'alto della parete, c'è il ritratto del fondatore a tenerlo d'occhio.
Nella vetrina della bottega più sontuosa, quella in via degli Orefici, i cibi sono esposti su vassoi argentati. Etichette scritte a mano; nel dialetto della città e in inglese. Lasagnàtt vairdì, green lasagna, lesse appunto il giornalista. Estrasse dal taschino taccuino e penna.
«Lei conosce Rirkrit Tiravanija?» gli chiesi.
Lui dilatò le narici, mordicchiandosi la lingua.



Rirkit Tiravanija, performance, New York, 2002

«Si tratta di un artista tailandese fautore di una nuova estetica legata al cibo»,  spiegai. «Crea dei corner che riproducono l'interno di una cucina. Lo spettatore è trasformato in ospite. L'artista cucina e gli serve il cibo che ha preparato».
«Vorrei sapere qualcosa sulla storia delle lasagne», m'interruppe. «Mi racconti come furono inventate».
«...Oppure Ellen Gallagher. Utilizza immagini-collage riferite a stereotipi razziali. Attori con la faccia dipinta di nero e labbra ingrossate. È un modo per affrontare la questione del pregiudizio e della xenofobia. Lei ritiene che l'arte debba aprire la strada all'integrazione o al dissenso? » domandai.

 


Ellen Gallagher, Preserve, New York, 2002
«Come, scusi?».
«…Secondo lei è più etico il gesto dell'artista che coinvolge l'umanità facendola sentire unita o quello di colui che infrange con un sasso la vetrina di una banca?».
Il giornalista mi guardava impietrito.
«Ho chiesto alla signora Clizia una guida gastronomica preparata sulla tradizione della lasagna», sibilò.
«Lei davvero crede importante, per il destino dell'umanità, aprire un dibattito sul concetto dell'alternanza di besciamella-ragù-pasta? Che genere di spettacolo crede che l'Occidente stia offrendo di sé al resto del mondo?».
Lui tamburellò la penna sul taccuino.
«…Be', glielo dico io. Sta offrendo di sé uno spettacolo miserevole. Lo sa che una sedia di rattan dell'Ikea, venduta in Europa a cinquantacinque euro, frutta all’operaia vietnamita che l'ha intrecciata un guadagno medio di due dollari al giorno? Lei ci lavorerebbe, seduto a terra, in uno stanzone senza luce, tra cumuli di paglia e cartoni da imballo? Lo so, la fuga dal sistema non è neppure un concetto anarchico, perché l'anarchismo non lo contempla neppure, il sistema… Lei conosce August Strindberg, lo scrittore svedese?… Il mio programma è eliminare la classe superiore, diceva Strindberg, poi si vedrà. E in seguito, col sospetto che gli operai, disprezzando i contadini, potessero trasformarsi in classe superiore State attenti, scrive Strindberg agli amici anarco-socialisti, a non corteggiare una futura massa di integrati, anziché uno stormo di rivoluzionari!».
Il giornalista incrociò le braccia.
[dalla Guida gastronomica]

lunedì 23 luglio 2012

Stile

Devi accettare gli errori del tuo stile. Quasi come le cose brutte della tua faccia.
[Ludwig Wittgenstein, op.cit., pag.142]

sabato 21 luglio 2012

Giornalisti gastronomici

Dei giornalisti gastronomici stranieri colpiva l'ignoranza. 
«I maiali», raccontai a questo ragazzo venuto dalla Svezia, mentre ci addentravamo nel quartiere medioevale,  «nei secoli trascorsi, razzolavano allo stato brado. Si nutrivano di ghiande. La nostra regione ne è sempre stata ricca. I longobardi, poi, portarono con sé la tradizione germanica della salsiccia». 
L'avevo sentito dire da Piero Angela, una puntata di 'Quark' dedicata alle invasioni barbariche.
«Lei mi sta dicendo che corrono liberamente nei boschi?» m'interruppe passandosi le mani sotto le ascelle.
Era un tipo dai capelli a spazzola, con le mascelle sporgenti come un eroe dei videogiochi. Gli arti, gambe e braccia, erano molto lunghi. Muoveva le mani in continuazione; forse era un tic.
«Adesso vivono nei porcili. Edifici di cemento simili a caserme rumorose e puzzolenti. Ma qualcuno in libertà c'è ancora. Ed è proprio da loro, che si ricavano le salsicce più succulente e tenere. Peccato che quelli sporadici in libertà siano un pericolo pubblico. Tanto più che le foreste di querce sono praticamente scomparse, e i suini non trovano più mezza ghianda da papparsi».
«…Le povere bestie», spiegai sbucando davanti alle due torri, «non sanno più con che cosa sfamarsi, e dunque li si può ritrovare nei pressi della tangenziale, oppure sotto i cavalcavia. S’incontrano anche lungo l'asse attrezzato. Si nutrono di tutto: cellophane, cartone, copertoni. Pare si siano rosicchiati perfino un pezzo della terza cinta muraria della città».
Il giornalista smise di scrivere. Allungò lo sguardo sul corpo della torre Asinelli, poi mi spiò di traverso.
«Ok», disse. Puntò la biro in direzione della mia faccia, come fosse l'arma per uccidermi.
Mi diede un colpetto alla spalla. Avevo esagerato. Aveva capito lo scherzo. Ridemmo.
«Ma le due torri sono sempre state in questa posizione?».
«Eh, sì».
«Al centro della strada? In mezzo al traffico?».
«Già».
«Perché non le hanno costruite sulla piazza?».
«E' zona pedonale. Non c'era alcun bisogno di deviare la circolazione».
Ridemmo.
Da allora, tra me e lui scattò una specie di alleanza: della serie, ho dimostrato la mia superiorità e adesso siamo proprio come due fratelli.
«I romani non erano allevatori», dissi. «Erano guerrieri. Sempre in giro a menar le mani nelle colonie. Però con la carne di maiale si producevano gli insaccati. E per i panini andavano pazzi. Mangiare al sacco. Erano sempre fuori casa. Durante le campagne militari in Africa o Dacia, averci in saccoccia un paio di sandwich farciti era d'obbligo».
«Il salame si mangia col pane?».
«Certo», risposi, non mostrando alcuna sorpresa per la domanda. «Si taglia e infila nel panino: così». Feci combaciare i palmi, mimando le fette di pane che si richiudevano.
«Parliamo dei panini. Ai romani, gli piaceva godersi il panorama della città dalla cima delle torri, eh?».
Gli spiegai che quelle furono costruite parecchi secoli dopo la colonizzazione romana.
«Ah sì? Peccato. Mi piace pensare agli antichi che da lassù, gustandosi i loro sandwich, si godevano il panorama».
Vidi che scriveva le sue stesse parole.
[dalla Guida gastronomica]

mercoledì 18 luglio 2012

Papini... Papini...

Io non scrivo per far quattrini, per farmi bello, per ruffianeggiare con le modeste fanciulle con gli uomini grassi [...]. Scrivo unicamente per sfogarmi nel senso più fognaiolo che vi sia dato pensare, o delicate immaginazioni di baritoni a spasso [mio il corsivo, perché è fantastico, n.d.a]. [...]. Ed intendo lo sfogo coi più plebei e stomacosi sinonimi: lo sputo che sale dal fondo della gola infiammata e che vola per incanto in infinita spruzzaglia [anche questo superbo, n.d.a.] su tutti i visi ch'io sarei degno di schiaffeggiare - il vomito della bile che mi ha distillato dal sangue lo spettacolo della nostra vita [cosa dire? n.d.a]...
[Giovanni Papini, 'Un uomo finito', op.cit., pag.220]

martedì 17 luglio 2012

So it goes #1

«Non ci sono più rivoluzioni», dice Sebastian Matta, «ma solo saccheggi nei supermercati». «Sul Fiscal Compact», dice la corte costituzionale di Karlsruhe, «si decide in settembre». «Nel lungo termine», dice John Keynes «siamo tutti morti».

So it goes, dice Kurt.

Parole vs oggetti

Quando mancano le parole - dice Winnie, a un certo punto, in 'Giorni felici' - vengono gli oggetti.

sabato 14 luglio 2012

Notte senza luna

Regalai a mia madre una coroncina da rosario. Ero andata in gita scolastica al santuario della Madonna di Loreto, quell'anno di trent'anni fa. Quel rosario fosforescente, in vendita nel negozio di souvenir, subito colpì la mia immaginazione. Era leggerissimo. Aveva qualcosa di immateriale. Un rosario divino, avevo pensato. Costava duecento lire. Lo comprai.
A mia madre piacque. Lo portava con sé, in giro per la casa, nella tasca del grembiule. Me la ricordai in cucina, in ginocchio su una sedia, mentre lo sgranava. Sussurrava l'Ave Maria, gli occhi fissi al muro. Si torceva tra le dita la coroncina luminosa. Io sapevo che non dovevo interromperla. «È un rosario che ho promesso», rispondeva se le chiedevo il perché ogni sera recitasse quelle preghiere. «Per che cosa?». «Molti anni fa», diceva, «una grazia che ho ricevuto».
Il giorno che mia madre morì, ritrovai il rosario. Era appeso allo specchio della credenza di mia nonna. Me lo portai via con tutte le cose appartenute a mia madre. Una notte nella quale non riuscivo a dormire, inquieta per qualcosa, mi venne in mente. Mi alzai da letto e lo tirai fuori dal cassetto del guardaroba dove lo custodisco insieme agli altri oggetti suoi. E nell'oscurità, mi accorsi che non s'illuminava più. I grani, il crocefisso, erano anneriti, la corda che li univa si era logorata.
La coroncina aveva perso la forza fantastica che mi aveva incantato da bambina. Era diventata una cosa grigia, sporca. Piansi.
È una notte senza luna. Il magnetismo dal mondo è scomparso.

mercoledì 11 luglio 2012

Festa Perdisa Pop

A Bologna, stasera, a partire dalle 21, a La Terrazza, in via dello Scalo 21/3. Maratona-reading curata dagli autori (leggerò un pezzetto da 'Le descrizioni').

Pranzo

Gli occidentali frequentano volentieri il firmamento delle nobili parole sullo spirito e sulla libertà, ma raramente si pongono la semplice domanda se qualcuno abbia abbastanza soldi per il pranzo.
[Czeslaw Milosz, La mente prigioniera, Milano, Aldo Martello editore, 1955, trad. it. Olga Ceretti Borsini, pag.76]

martedì 10 luglio 2012

Insalata russa

«Adesso che la parola ‘libro’ è sinonimo di ‘prodotto’», dice Emanuele Trevi, «è importante che le giovani generazioni sappiano che esistevano intellettuali così». «Ma parliamo del Pasolini notturno», dice Enrico Mentana.  «A Valle Giulia», dice Walter Veltroni, «non capivamo perché Pasolini, anziché con gli studenti, si schierasse coi celerini». «Parliamo dei vizi di PPP», dice Mentana. Caro Mentana, va bene. Prendiamo come esempio l’insalata russa. Troppe carote sempre ci ficcano dentro, eppure mai nessuno se ne lamenta.

sabato 7 luglio 2012

Aneddoto primo

Un mese prima della proclamazione del vincitore dello Strega, qualche decennio fa, un autore candidato rintracciò al telefono Goffredo Parise, membro della giuria. «Pronto, signor Parise. Mi dia il suo voto!». Parise restò in silenzio. «Lei mi chiede il voto», disse. «E sia». «Cosa chiede in cambio?» domandò l’autore. «Il …», fece Parise. «Il?...» chiese l’autore. «Il suo culo».

venerdì 6 luglio 2012

God bless

Vado in piazza. Mi siedo in uno di quei bar per turisti che si affacciano sul Crescentone, coi tavolini dalle tovaglie a quadretti tenute strette agli angoli perché il vento non se le porti via. Vicino a me siede una famiglia straniera. Prende il sole. Si abbronza, col sole di luglio, tra i monumenti della città.
Adesso faccio un esperimento, penso: adotto la loro stessa ottica. Mi calo nella psicologia dello straniero. Chiudo gli occhi, mi dimentico di tutto.
«One espresso, please», dico al cameriere dalla pelle olivastra e occhio a mandorla che si destreggia tra i tavoli.
«Water?».
«Yes, please. A small glass».
Fingersi stranieri, penso. Chiudo gli occhi, li riapro.
Assumendo lo sguardo del turista, posso guardare alla mia vita, al mio paese, con indulgenza, distacco, perfino. Far finta che l'inaccettabile sia solo l'altra faccia del pittoresco.
Una comitiva di pensionati insegue la bandierina della guida. Poco più in là, dei bambini saltano sopra dei palloni gonfiabili. Rassicurante come in una cartolina, penso.
Guardo l'uomo in tuta da ginnastica che davanti alla fontana del Nettuno, monta in piedi su uno sgabello. Comincia un discorso a proposito degli assegni di invalidità erogati in così larga misura al Sud. In ascolto c'è un anziano, cappellino da basket, quotidiano sportivo sottobraccio. Annuisce. La famiglia di stranieri seduta al tavolo sorride. Sorrido anch'io. Sollevo il mio caffè espresso in un gesto di brindisi ideale. This is Italy, beautiful country. Sorseggio il mio bicchiere d'acqua. Morsico la fetta di limone che ci galleggia dentro.
Giro lo sguardo al palazzo comunale, la statua di papa Gregorio XIII che siede sul portale d'ingresso a benedire la città che gli ha dato i natali. Buone cose a tutti, già. Grazie. Thank you, Mr pope. God bless you. Dio benedica l'Italia. Beautiful country. Guardo le tre bandiere che sventolano ai piedi della statua. L'Europa unita, lo scudo crociato stendardo della città e una terza bandiera. Chiamo il cameriere.
«Yes, madam?».
«You see the flags?».
«Yes, madam».
«What flag is the one on the right?».
Il cameriere un po' stupito alzò gli occhi nella direzione del mio gesto.
«This is the Italian flag, madam».
«Oh, I see», dico simulando stupore.
La famiglia di stranieri che ha ascoltato annuisce felice. Noi lo sapevamo, dice il loro sorriso. L'uomo in tuta da ginnastica davanti al Nettuno scende dallo sgabello. Ha concluso il suo discorso. Il pensionato col cappellino da basket lo saluta.
«Thank you», dico al cameriere.
Pago con la mancia.

 


giovedì 5 luglio 2012

Essere una merda

Nessuno può dire di se stesso in modo veritiero di essere una merda. Perché, se io lo dicessi, potrebbe anche essere vero in un certo senso, ma io non potrei essere intriso di questa verità: poiché in tal caso dovrei impazzire, oppure cambiare me stesso.
[Ludwig Wittgenstein, op.cit., pag.69]

martedì 3 luglio 2012

Voleva dimostrare

Almeno settemila incidenti aerei l'anno sono causati dalla collisione con uccelli in volo, leggo sul giornale. Negli aeroporti si ricorre ad ogni espediente per allontanare i volatili dalla pista. È consuetudine, per esempio, non tagliare l'erba del prato adiacente, così da scoraggiare i gabbiani dal posarsi a terra. A bordo pista si lasciano germogliare piante graminacee selvatiche e indigeste. Si piantano spaventapasseri. Si sparano in aria fuochi pirotecnici, segnali sonori assordanti. Un addetto dell'aeroporto di San Francisco racconta di un pomeriggio nel quale un pellicano si era posato al centro della pista. Il pennuto passeggiava, dice, indifferente, senza paura. Non aveva alcuna intenzione di andarsene. Mentre gli sparavo e lo vedevo cadere stecchito a terra, dice l'uomo al giornalista, mi chiedevo cosa volesse dimostrare, quel pellicano. Che cosa voleva dimostrare, già.



lunedì 2 luglio 2012

Una donna difficile

"Bene, che cosa vuoi fare? ".
"Baciarti".
"Sono tutta sporca".
"Non baci gente quando sei tutta sporca?".
"Io non bacio la gente. Sono nata prima di quella generazione. Ti troveremo una ragazzina che potrai baciare".
"Non ci sono ragazzine carina. Tu sei l'unica che mi piace".
"Io non sono carina. Sono una donna difficile".
 [Francis Scott Fitzgerald, 'I taccuini', Torino, Einaudi, 1980, pag.107, citato nel racconto 'Scott e Zelda', pubblicato su Colla, anni fa]

Ancora di 'Le descrizioni'

Recensione di 'Le descrizioni' ed intervista ad opera di Annamaria Garbagnoli alla mia persona.
http://www.kultural.eu/component/content/article/358-le-descrizioni-intervista-a-monica-dallolio