sabato 30 marzo 2013

Descrizione dell’opera dell’artista Mario Ceroli, esposta nella mostra ‘Faccia a faccia’, al Mambo di Bologna, fino ad aprile



Battaglia, 1978
«Il quadro dietro al divano, lo detesto», disse Mario Ceroli intervistato, un giorno di quarant’anni fa, e infatti. Le matite alte un metro circa che si stringono compatte in un tridimensionale tappeto di punte legnose (Primavera, 1969) alle spalle del sofà, nel mio soggiorno, faccio fatica a pensarle.
Nemmeno ci vedrei l’oasi di bandiere bianche che si afflosciano sui pali conficcati nel rettangolo di sabbia del Progetto per la pace e non la guerra (1969), no.
Ecco un artista che si gode lo spazio, penso.
E appena entro, in lontananza, subito la avvisto, al centro della sala maggiore. È la famosa istallazione La Cina (1966), gli uomini-sagoma in marcia disposti lungo file parallele, collegati da un tubo ferroso che li trafigge nel petto, scandisce il loro passo. Formeranno pure l’esercito di Mao Tse-Tung, il Grande Timoniere, ma a me, hanno sempre messo in testa gli omarini del Calciobalilla… trasformati in un formato gigante, si capisce, da un Geppetto artistoide che va pazzo per il bricollage, Hobby & Legno, quelle robe lì.
No, Mario Ceroli, secondo me, è uno che si diverte un mondo. E quando gli artisti si divertono, anch’io mi diverto.
Me lo immagino mentre con gusto ritaglia (dato che dichiara di far tutto da solo, senza l’ausilio del falegname) le sue figurine di legno (pino di Russia), le incastra e ricompone su piani diversi. Da lì viene, penso, il titolo della mostra, ‘Faccia a faccia’, ovvero: positivo/negativo, dritto/rovescio, buona/cattiva coscienza. Perché quel che salta fuori, da tutto quell’incastrare, alla fine, e incredibilmente, è una singola figura! Unica eppure sfaccettata, moltiplicata su se stessa. Come a dire che ogni uomo è diverso dall’altro e anche da se stesso, ha le sue personali complicazioni che possono perfino essere contraddizioni, e del tutto inspiegabili. E niente si può fare per regolarizzare la cosa.
Viene in mente il pensiero espresso da Michelangelo, quando diceva che scolpire significa sottrarre materia alla materia, coi suoi contemporanei che, ci giurerei, lo prendevano per matto. «Io voglio sovrapporre», dice Mario Ceroli invece. E le sue sagome infatti mai sono a tutto tondo, mai. D’altra parte nessuno di noi lo è, penso. C’inventiamo i nostri comportamenti imprevedibili, e per fortuna. Che noia sarebbe, sennò.
«Non chiamatemi artista del legno», dice. Fin dagli esordi, negli anni Sessanta, nel contesto della cosiddetta Arta Povera, a Ceroli è sempre piaciuto usare anche legno di recupero, tavole di compensato, materiale da imballo. «Dal legno bruciato traggo una particolare soddisfazione», disse. Alberto Burri docet? E per forza, rispondo io. Perché un pezzo di legno bruciato è come la faccia di un uomo che soffre. Descrivere un pianto scrosciante è infinitamente più interessante che descrivere una risata sguaiata, si sa.
Centouccelli, 1967
Delle sagome bruciacchiate compaiono nella serie Dietro la rete (2010), sul fondo di rettangoli in rete metallica, appunto, fissata a mo’ di scatola all’incasso di legno. Sono i gesti anneriti di uomini intenti a far qualcosa, eppure imprigionati. Ed eccolo lì, il web, lo scherzo della vita reale fagocitata dall’algoritmo della relazione virtuale. Possiamo parlare di paralisi del sudore?
Mi guardo intorno.
Non c’è la Cassa Sistina (1966), no. Fece scalpore, Ceroli, confezionando o meglio imballando un box in legno compensato, di quelli per trasporto, con sopra scritto ‘fragile’ ecc., sul quale aveva ricavato un tetto a spiovente da chiesa, e che riempì di attrezzi da lavoro. Peccato, peccato.
C’è invece una enorme gabbia che contiene un’altra gabbia che a sua volta contiene una terza gabbia con dentro la sagoma annerita di un uomo seduto (Centouccelli, 1967). Che è una bella metafora, per chi ama le metafore, chiaro. Io, non sempre.
C’è un gruppo di cavalli-sagoma, altezza naturale, con in sella cavalieri che sollevano bastoni con stendardi di stoffa colorata (Battaglia, 1978). Paolo Uccello? Oh yes, a lui si pensa:  Rinascimento, positività, progetto smarrito.
Mi fermo a guardarla. È un’istallazione di una bellezza che lascia sgomenti, credetemi. «Voglio essere sulle piazze», disse Mario Ceroli, «in grandi spazi». E questo esercito equino bisogna immaginarselo proprio su una piazza, ma non solo; anche dentro il cortile di un palazzo, in cima a un colle, dentro un giardino, perfino…

Dietro la rete, 2010
C’è poi Il raccoglitore di miele (1991): l’uomo-sagoma si arrampica su un bastone di forma ellittica con a fianco uno pseudocesto che deve riempire del prezioso alimento. L’agricoltore può diventare un autentico funambolo della natura, già.

C’è l’impronta di un uomo, per terra, cosparsa di cenere, stampata su un piano di legno, arso, naturalmente (L’amore per la terra, 1991). E ci sono quattro campane con sopra le magiche parole ‘aria’, acqua’, ‘fuoco’, ‘terra’, rette in cima a dei bastoni, tirate in cielo da corde: L’accordo dei quattro elementi, 1976. Magari.
E poi si cammina più leggeri.
…Pensate che nei Planisferi (1990), nella geografia delle terre, quelle emerse sono ricavate niente poco di meno che in foglia d’oro! Noi umani siamo dunque così importanti? Boh.
C’è infine un’opera, che ci riporta coi piedi per terra, dal titolo a dir poco eloquente, La strada della politica negli ultimi cento anni, 1989 – i titoli di Ceroli sono sempre stratosferici -, sulla quale, da un grumo di colore, sulla tela, si staccano falce e martello e croce uncinata… e  degli uomini microscopici, tutti in fila, si muovono in cammino, quei simboli seguendo o inseguendo, a seconda di come la vogliamo vedere.
Così sorge spontanea la domanda: può l’umanità sopravvivere alla scomparsa dei simboli?
Io, l’arte contemporanea, la adoro per questo. Perché parte da un pezzo di legno e arriva alle nostre budella.

                                 
 

venerdì 29 marzo 2013

So it goes #46

«…Non perderti per niente al mondo», canto, «lo spettacolo vario… di uno innamorato di te». Da qualche giorno, ce l’ho in testa, la canzone di Paolo Conte. Non che io, in questa fase della mia vita, stia ascoltando il cantautore, intendiamoci, no. Strano, penso. Chiamo Zelda e glielo dico. «Perché ce l’ho in testa?» le domando. «Guarda che Scott», fa lei, «sono stata io a piantarlo, eh». Così, testualmente dice. «Che cosa c’entra Scott con Paolo Conte scusa?». Riattacco. Mi guardo lo streaming dell’altro giorno, l’incontro nella saletta di Montecitorio tra Bersani e i due capogruppo del M5S. Il discorso di Bersani, non credevo, ma mi convince. «Mi sembra di sentire una puntata di Ballarò», dice invece la capogruppo alla Camera grillina. Così oggi richiamo Zelda. «Ma secondo te», dico, «tra la canzone di Paolo Conte, il fatto che tu ti sia liberata di Scott, e il parlamento che il M5S vuole governi senza capo, e sovrano, secondo te, c’è un legame?».
 
So so so.

giovedì 28 marzo 2013

C'è da vomitare

Vorrei mangiare sotto una cupola.
Com'è immondo mangiare in un qualunque restaurant.
Mangiare e veder mangiare.
Una sala da pranzo cattedrale!
Ma è incomodo mangiare colla gente a pregare.
Mangiare e sentir borbottare.
C'è da vomitare.
Mangiare... senza tanto pensare.
Mangiare e non ci badare.
[Aldo Palazzeschi, Disappetenza, 15 dicembre 1914]

Ah, si?...

Io sono tuo padre.
Ah, sì?...
Io sono tua madre.
Ah, sì?...
Questo è tuo fratello.
Ah. sì?...
Quella è tua sorella.
Ah. sì?...
[Aldo Palazzeschi, L'indifferente, 15 dicembre 1914]

martedì 26 marzo 2013

So it goes #45

«Max», dico, «ma tu lo sai perché ti amo?». «No», dice. «E saperlo, ti interesserebbe?». «No», dice. «Tu davvero non desideri conoscere il perché di questo mio estremistico sentimento che si è andato maturando nei confronti proprio della tua persona?». «Ma per un cazzo», dice Max.

 So it goes, dice Kurt.

venerdì 22 marzo 2013

Poco mi curo di come io abbia parlato

In realtà nella conversazione quotidiana con gli amici e con i familiari non ho mai avuto preoccupazione di parlar forbito; e mi stupisco che Cesare Augusto l’abbia avuta. Ma dove l’argomento o la sede o la persona che m’ascoltava parevano richiedere diversamente, mi sono provato un poco; con quanta efficacia, non so; l’hanno a giudicare coloro di fronte ai quali parlai. Per mio conto, purché abbia vissuto rettamente, poco mi curo di come io abbia parlato: gloria vana è cercare la fama unicamente nel luccicare delle parole.
[Francesco Petrarca, op.cit., p.7]

giovedì 21 marzo 2013

So it goes #44


«Scott mi ha detto che s’è innamorato di una», dice Zelda al telefono. «Ma va’?!». «Sì, è lì che non capisce più niente, poveretto». Scott e Zelda convivono da vent’anni. «Che tu e Scott interrompiate la vostra storia d’amore», dico, «lo troverei del tutto appropriato. E positivo per te senz’altro». Perché Scott è un rammollito, e il classico intellettuale egocentrico. «Questa donna ha trentacinque anni», dice Zelda, che significa vent’anni meno di lei. «Non so, da quando ha compiuto i cinquanta», dice, «si è del tutto rincoglionito a inseguire la figa giovane… vuol dimostrare la sua virilità, penso… fa certe battute da camionista, non ci crederesti». Ci credo, invece. «Zelda», taglio corto, «considerati baciata in fronte dalla fortuna. Chiamala provvidenza o come ti pare… Questa è una possibilità unica e irripetibile che senza neanche tu l’abbia chiesta ti è stata regalata per… Zelda?». Ha riattaccato. «Non sei molto delicata», dice Max. No, infatti. Nelle questioni sentimentali, non sono delicata. Soprattutto le volte che di mezzo c’è uno stronzo. Sono una drastica, io. La richiamo due giorni dopo. «Allora?». «Mah», dice, «sembra che la donna, di questa cosa, non ne sapesse niente». «In che senso?». «Era all’oscuro di tutto. Gli ha detto, a Scott, che lui aveva frainteso i suoi sentimenti». «Stai forse dicendo che Scott s’è sparato un suo individuale viaggio amoroso?». «Esattamente», fa Zelda. Strepitoso! Insuperabile! «Vaga per casa», dice, «farfugliando frasi tipo ‘mi sono sbagliato… tu sei la mia donna’… è fuori di testa… dice che l’ha conosciuta a un bar di via Mengoli, pensa». «Be’, il bar fa parecchio anni Cinquanta…». «Un po’», dice Zelda. «Zelda, senti», dico, «ma ti rendi conto del colpo di culo?». «No». «Ti rendi conto che senza far un emerito cazzo di niente, del tutto a tua insaputa quasi, ti stai finalmente liberando di quello?… Zelda? Zelda accidenti?». Ha riattaccato.
 
So it goes, so so.

 

 

mercoledì 20 marzo 2013

Descrizione del film ‘Viva la libertà’, regia di Roberto Andò, marzo 2013 - tratto dal suo romanzo ‘Il trono vuoto’, Milano, Bompiani, 2012

C’è un leader politico che va in panico. È possibile? ci domandiamo. Ebbene sì.  È lì che deve salire sul palco, prendere la parola in un comizio elettorale, e invece cerca scampo alla toilette. Come un drogato di auditel interpella i sondaggi online sull’indice di gradimento riservato alla sua persona… E già in questa partenza, chissà perché, si respira un’atmosfera familiar-nazionale.
C’è un leader che davanti all’immensa platea dei suoi elettori, all’improvviso realizza che non ha più niente da comunicare. Per dirla alla Jovanotti, il capopartito ha perso la direzione.
C’è un politico che decide di scomparire dal suo ruolo di politico per ricomparire in quello di uomo. E per raccapezzarsi, pensa di fare un salto a ritroso nel tempo, cercare di ricordarsi com’era quando tutto è cominciato. Quando tutto è cominciato, già.
C’è poi una donna che quest’uomo ex politico, lo ha amato, quando era un ragazzo e aveva sogni, energia, e in testa la certezza di rivoluzionare il mondo con le sue idee, forse, o in ogni caso la voglia di renderlo meno schifoso. C’è una donna che gli dà asilo senza chiedergli perché.
C’è un filosofo, degente appena dimesso da un ospedale psichiatrico, che del leader politico è il fratello gemello, e i due sono così sputati identici che il trucco per ingannare tutti è subito servito. C’è un filosofo che una cartella medica descrive come ‘affetto da disturbo bipolare con percezione alterata della realtà’. Oh, è proprio l’uomo che fa per noi, viene subito da pensare.
C’è dunque un filosofo matto al quale assegnano il ruolo di politico assennato. Inutile dire che in quei panni ci sta a meraviglia, fa una gran figura. Ci prende gusto, perfino. A tal punto che con un colpo da maestro, oplà! supera la performance del politico.
C’è una frase, che il filosofo diventato politico interrogato da un giornalista dice, e cioè ‘l’unica alleanza possibile è quella con la coscienza della gente’. Altroché inciuci; l'etica in parlamento, piuttosto.
C’è lo stesso uomo, del tutto a suo agio nella funzione di politico-filosofo, ormai, che macina pillole di Socrate e Aristotele, legge Brecht, parla di paura, cambiamento possibile, comunicazione diretta, e a un certo punto, salito sul palco, davanti a uno sfondo fitto di parole, dice ‘qui, signori miei, ce ne manca una di parole: passione’.
C’è un matto che sta dentro e allo stesso tempo fuori dal mondo, e in questo modo, il mondo con lucidità riesce a guardare, e sul mondo a costruire un progetto. E questa è un’idea che così matta non è, a pensarci.
Né è folle il tango che il filosofo balla con una pseudocancelliera bionda, che casca rapita tra le sue braccia. Non è folle quando al Quirinale, gioca a nascondino nella sala dei mappamondi, con il presidente della Repubblica, tirando in ballo Shakespeare, l’essere e il non essere e il divenire... Non è folle quando, intervenendo al party della combriccola dei matti che sono stati i suoi amici, davanti al timido portaborse (Valerio Mastrandrea, che è una specie di nuovo Nino Manfredi, penso), si lancia in uno sfrenato rock and roll acrobatico.
Far sì che la vita vera entri nella politica non è una pazza idea, no. Perché la politica senza la vita non è più politica.
C’è un leader di partito che alla fine, tutte queste cose, le capisce, e quando le capisce, ritorna sul trono che aveva abbandonato. Politico e filosofo insieme, in pace con il suo doppio. E chi dei due più aiuterà l’altro, se Pierluigi Bersani Massimo Cacciari o viceversa, non lo sappiamo. Se dovessi dire, io penso Massimo Cacciari, ma chissà.
Significativo è che quest’uomo politico che se stesso ha ritrovato (interpretato da quel genio che è Toni Servillo) sieda, nella scena finale, vestito di tutto punto, alla scrivania, di nuovo nel suo ruolo, sì, ma con le scarpe abbandonate a terra, lì di fianco. Come a dire che da scalzi bisogna ripartire.

 

 

 

martedì 12 marzo 2013

Sembrare sciocco

La scrittura estremamente elaborata e chic o quella chiaramente stupida mi fanno venire veramente sonno. Gli scrittori non hanno bisogno di ricorrere a trucchetti e trovatine né sta scritto che essi debbano essere sempre i più in gamba di tutti. A costo di sembrare sciocco uno scrittore a volte deve essere capace di rimanere a bocca aperta davanti a qualcosa, qualsiasi cosa - un tramonto o una scarpa vecchia - colpito da uno stupore semplicemente assoluto.
[Raymond Carver, op. cit., pag.7]

sabato 9 marzo 2013

Presentazione di 'Le descrizioni' a Zibello (Pr) domani

Per ricordarvi che domani si fa un giro nella grande pianura, la bambina Mika, sotto il livello del Po, perfino, con la speranza di trovar la nebbia, e quella più fitta, ché lei in quella nebbia c’è nata e il cervello c’ha lasciato.

10 marzo, Zibello, Parma, presso la locanda Leon d'Oro, alle 17, per la rassegna 'Un libro con tè alle cinque'. Letture. Con me ci sarà Rosalba Scaglioni.
A seguire, festeggiamenti con libro-omaggio del sindaco donna di Zibello prefato da Rosalba, sulla scia dell'8 marzo, naturalmente.


lunedì 4 marzo 2013

Mi sono giudicato ancor più trascurabile

La superbia l’ho riscontrata negli altri, ma non in me stesso; e sebbene sia stato un piccolo uomo, sempre mi sono giudicato ancor più trascurabile. La mia ira danneggiò assai di frequente me stesso, mai gli altri. Mi vanto francamente […] d’avere un animo assai suscettibile, ma facilissimo a dimenticare le offese, e al contrario saldissimo nel ricordo dei benefici ricevuti. Fui desiderosissimo delle amicizie oneste e le coltivai con assoluta fedeltà.
[Francesco Petrarca, op.cit., pag.5]
 

domenica 3 marzo 2013

Presento 'Le descrizioni' a Perugia, l'8 marzo

 
Venerdì prossimo 8 marzo, alle ore 17.30, per la rassegna 'A qualcuno piace leggere!', presento il romanzo 'Le descrizioni' nel foyer del teatro comunale Morlacchi di Perugia, in piazza Morlacchi 17. L'incontro è organizzato dal liceo classico Mariotti di Perugia, Umbrialibri, dal Teatro Stabile dell'Umbria e dalla libreria L'altra libreria di Perugia. Con il prof. Pasquale Guerra e Paola Bianchini.
Faccio qualche lettura. Ingresso gratuito.
 

 
 

venerdì 1 marzo 2013

Una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino


Alla mia nazione

 Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
Sprofonda in questo tuo bel mare,
libera il mondo.
[Pier Paolo Pasolini, Nuovi epigrammi da ‘La religione del mio tempo’, 1961, Milano, Garzanti, pag. 143]