«Il mio modello», dico a X, «vuoi
sapere chi è?». X scuote la testa. «Non è Nilde Iotti e nemmeno papa Giovanni
né il cardinal Martini». «Neanche De Gasperi?» dice X, che intende sfottere, «o
Martin Luther King?». «No», dico, «e neanche la blogger tunisina che pure
stimo… Il mio modello è l’artista Marcel Duchamp», dico, «ma non l’opera: la
sua vita proprio». «Duchamp», dico, «che dopo essersi travestito da Rrose
Sélavy e tutto il resto dice ‘Ragazzi miei, tanti saluti! D’ora in poi
esclusivamente al gioco degli scacchi intendo dedicarmi!’… E lo sai perché, è
il mio modello?». X scuote la testa: ascolta Nichi Vendola, tutto quell’agglomerato
di ‘esse’ in un solo corpo. «…Perché la vita, Duchamp con trucida maestria è
riuscito a dividersela in due metà simmetriche: caos/ordine, relativo/assoluto».
X ascolta Bruno Tabacci, che gli piace per come aggrotta la fronte, dice, la
serietà che in quella piega di pelle umana sta tutta concentrata. «…Per dirla
alla Rousseau», dico, «Duchamp capisce che è dalla passione che nasce il
crimine… mentre la ragione, be’, quella sceglie sempre e senz’ombra di dubbio
la giustizia… È chiaro il genio?». «La cravatta viola, Matteo Renzi, guardaci
un po’», dice X, «la porta proprio come un americano…».
So so so.
Nessun commento:
Posta un commento