mercoledì 31 ottobre 2012

So it goes #22

«Ma il mazzo di rucola», dice Z leggendo lo scontrino fiscale, «mi vuoi dire che l’hai pagato due euro e mezzo?». «Sì», dico. «Dove l’hai comprato?... In gioielleria, per caso?». «Dal fruttivendolo all’angolo con via Clavature», dico. «Il negozio dove fa spesa Montezemolo, intendi?» dice lei. «Può darsi. Io, i prezzi, in generale, non me li ricordo. Dato che sono espressi in numeri… E i numeri, io, non li memorizzo. Non c’è niente da fare, niente». «E gli anni che eri fidanzata con quel matematico siciliano?» dice Z, che oggi si vede lontano un chilometro che è in vena di polemica. «Si era laureato alla Normale di Pisa, infatti», dico. «E sai cosa m’ha detto un giorno?». «No», dice Z. «Sono innamorato della tua mente, m’ha detto. Del tuo deserto numerico». «Così t’ha detto?» dice Z. «Precisamente», dico. Z scuote la testa. Ripone delicatamente la rucola sul lavandino.
 
So it goes, dice Kurt.

martedì 30 ottobre 2012

Pony express

Max mi raccontò quella sera dei primi anni trascorsi nella città. Di quando era arrivato, proveniente dal Sud, in cerca di lavoro. Abitava in una stanza. Subito lavorò come pony express, nome in codice: Orso.
«Ci chiamavamo tutti con nomi di animale», disse.
Raccontò che una domenica aveva invitato a cena un ragazzo anche lui pony express, un trentino che chiamavano Lupo. Per l'occasione aveva comprato del gulasch in lattina. Poi si accorsero che il fornello elettrico era guasto. Lupo suggerì di scaldare la carne con una candela. Prese fuoco. Fecero appena in tempo a gettarla dalla finestra.
Raccontò che una volta aveva invitato un ucraino, Pulce.
«Orso», si era raccomandato, «io mangio solo salsiccia, e di puro maiale».
Max raccontò che gliela servì con una strisciata di senape. Di come Pulce si leccasse le dita, alla fine.
Raccontò di quando invitò un ragazzo di Lecce. Gli preparò delle omelette alla marmellata.
«Orso, io non sopporto la marmellata», gli disse Canguro, così si chiamava, «se non ti dispiace, ho portato delle cozze sottovuoto», gli disse. Farcirono le omelette con le cozze.
«Di quei ragazzi», disse Max, «non ho mai saputo il vero nome».
[dalla Guida gastronomica]

 

lunedì 29 ottobre 2012

So it goes #21

«Berlusconi», dico a Z, «fa un po’ venire in mente Sexy Sadie». «SEXY SADIE… OOH, WHAT HAVE YOU DONE», canto a squarciagola, «YOU MADE FOOL OF EVERYONE». «Sexy Sadie ooh you broke the rules… just a smile would lighten everything», canto. «E poi… ma te la ricordi quell’altra fase di Genet?» dico a Z. «No», fa lei. «…Quando Genet diceva ‘I fatti sono quel che racconto, ma la loro interpretazione è quel che oggi sono diventato’. E ‘fanculo tutti!». «Sexy Sadie… however big you think you are», canto, «however big you think you are».
 
 
So so so.
 
 
 
 

domenica 28 ottobre 2012

Innocente volontà di potere

Io suppongo che come è idealistico l’odio per il potere, sia idealistico anche il desiderio per il potere. Ed è forse superficiale condannare, per elezione e senza discussione, il desiderio del potere. La forma di idealismo che fa vivere quella città tutta uguale di ricchi, o almeno di borghesi agiati, con le loro gerarchie interne, le clientele di snob, di emarginati tollerati, ecc. su su fino ai veri potenti, direttori di banche, grandi dirigenti di azienda, inamovibili burocrati, ministri, è una naturale  e – devo pur scriverlo – innocente volontà di potere.
Coloro che – come nel mio caso – odiano il potere, in un momento o l’altro della loro vita, in un momento inaugurale, l’hanno amato, perché ciò è naturale, e perché è ciò che provoca poi un odio giustificato, oltre che quasi religioso!
[Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Milano, Mondadori, 2009, pag. 262]
 
 

sabato 27 ottobre 2012

Una gatta filosofa

Bevo un bicchiere di vino. Accendo la tivù.
«I clandestini scatenano la rivolta», dice il giornalista del tigì, «brucia il cpa di Lampedusa. Un centinaio di tunisini ha tentato di sfondare i cancelli, ammassato materassi e cuscini nelle stanze e poi appiccato le fiamme».
«Lo sai che cosa dice Heidegger dell'uomo?» dice Cleofe, che, come già ho detto, è una gatta parlante.
Butto giù un sorso di vino. Non lo so.
«Che è infinitamente di più di quel che sarebbe se lo si riducesse ad essere quello che è», dice.
Sul video scorre un'immagine vibrante, aerea, ripresa da un elicottero sferzato dal vento. L'ex caserma dei carabinieri dell'isola, convertita in centro d'accoglienza, divorata dal fuoco: uno scheletro fumante e senza tetto.
«Preferisco la definizione di Kant», dico. «L'uomo come fine dell'azione... la trovi ingenua?».
Cleofe emette un piccolo ringhio.
«Provaci, a metterla in pratica», dice.
Guardo le immagini dei clandestini in tumulto. La loro protesta. Quella capacità di protesta, penso, io, non ce l'ho.
«Hai presente der gemeine Mann?» dice Cleofe.
«No».
«L'uomo comune, come se lo immagina Sigmund Freud. Colui che pur non appartenendo all'élite intellettuale, comunque si sforza di analizzare i meccanismi della sua personale alienazione».
La osservo, la gattaccia.
Proprio a me doveva capitare una gatta filosofa? Non poteva capitarmi una gatta cuoca? Governante? Ricamatrice? Ma proprio a me?

venerdì 26 ottobre 2012

So it goes #20

«Quando uno scrittore dice ‘La mia opera parte dall’autobiografia’», dico a X, «sempre mi viene in mente Genet che diceva ‘Scrivo perché mi si ami’». «Perché Genet, ladro pederasta e truffatore», dico, «proprio per la sua anima schifosa, voleva essere amato». «’La sola idea di un’opera letteraria’, dice Genet, ‘mi fa alzare le spalle’. Cioè, della letteratura in sé, a Genet, non gliene fregava niente. «No?» dice X. «No», dico. «E penso che i veri scrittori, quel che li distingue dagli altri, è che le presentazioni dei loro libri vanno deserte perché nella vita, quelli scrittori sono proprio soli come dei cani. E semmai un giorno questi veri scrittori dovessero riempire le sale e finalmente crogiolarsi nell’affetto degli ammiratori amanti e amici conquistati, significa che nel frattempo, sono forse diventati dei brillanti letterati, ma in virtù di quel nuovo affetto ricevuto, di sicuro hanno cessato di essere dei veri scrittori». Così io penso, così.
 
 
So, so, so: so it goes, dice Kurt.
 

giovedì 25 ottobre 2012

Vita inemotiva


Tu [Natalia Ginzburg n.d.a.] difendi sempre, nei tuoi libri, i valori primitivi. Difendi le passioni, il calore animale, la famiglia, la tana, il focolare domestico, tutte cose di cui la nostra vita, secondo te, non potrà mai fare a meno. Ma è proprio così? Noi stiamo vivendo un’età di grande trasformazione, stiamo vivendo il congedo dell’uomo dalla natura. Il nostro legame con la natura si sta spezzando. Ci stiamo incamminando verso un mondo quasi esclusivamente mentale. Fatto di conoscenza, non di finta scienza. Perché immaginarcelo peggiore di quello feroce e brutale da cui proveniamo? Sono morti gli dèi; ora muoiono gli animali, le foreste, i mari, i fiumi. Vivremo di emozioni e di piaceri mentali. Le nostre gioie saranno forse più pallide, la nostra vita più inemotiva. Ma forse anche meno traumatica, meno feroce, meno sanguinaria, meno crudele. Se l’uomo uccide, violenta e inquina la natura, può darsi che lo faccia perché non ne può più della sua natura primitiva, e ubbidisce a un progetto che non sappiamo.
[Cesare Garboli, Genitori e figli, conversazione con Natalia Ginzburg, in 'Ricordi tristi e civili', Torino, Einaudi, 2001, pag. 48]
 

mercoledì 24 ottobre 2012

Indietro dalla realtà

La domanda reale è: perché questa diacronia tra la cronaca e l’universo mentale di chi si occupa di problemi politici e sociali? E perché, all’interno della cronaca, questa «divisione dei fenomeni»?
Ciò che avviene «fuori dal Palazzo» è qualitativamente, cioè storicamente, diverso da ciò che avviene «dentro il Palazzo»: è infinitamente più nuovo, spaventosamente più avanzato.
Ecco perché i potenti che si muovono «dentro il Palazzo», e anche coloro che li descrivono, si muovono come atroci, ridicoli, pupazzeschi idoli mortuari. In quanto potenti essi sono già morti, perché ciò che «faceva» la loro potenza – ossia un certo modo di essere del popolo italiano – non c’è più: il loro vivere è dunque un sussultare burattinesco. […]
È vero che i potenti sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro potere clerico-fascista, ma anche gli uomini dell’opposizione sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come ridicola maschera, il loro progressismo e la loro tolleranza.
[Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane, Torino, Einaudi, 2003, pgg.95-96]

martedì 23 ottobre 2012

Resistenza


Sogno che mi risveglio in un mondo popolato da entusiasti orsetti di peluche. I maschi indossano un papillon a pois girato al collo, le femmine certe sgargianti sottane decorate a girasoli, e trasudano un profumo ma leggero. Mi divincolo in questa società sintetica che ha come attori dei giocattoli pelosi, a maglia sferruzzati, dei patchwork variopinti per bambini. Perfino il paesaggio, gli alberi, la terra, il sole, gli astri, li posso toccare: sono morbidi, sotto il polpastrello, velluto e lana. Si lasciano accarezzare, sbaciucchiare, strofinare. «Questo è il mondo?» mi dico. «Oh yes», rispondo, «docile, che disgrazia». Mi infilo gli stivali e mi ci intrufolo. Ma io ho un’andatura sgemba, sapete com’è, entusiasti orsetti di peluche: le ossa, la carne, la puzza. Io devio. Io faccio resistenza.



 

lunedì 22 ottobre 2012

Aneddoto secondo

La domenica entro nella libreria Ubik della città di P. In vetrina ho visto un romanzo di Magda Szabó, ‘Il vecchio pozzo’, col 25% di sconto. Entro. Vicino la cassa, adocchio il volume. Faccio un giro. Di fianco l’ingresso è uno scaffale con sopra la targa ‘Proposte’. Ci guardo: ‘Cinquanta sfumature di grigio’, ‘Cinquanta sfumature di nero’, ‘Cinquanta sfumature di…’, ‘Il manoscritto ritrovato ad Accra’, ‘L’inverno del mondo’. Guardo il ripiano di sotto: ‘Mettiamoci a cucinare’, ‘E mo’ te spiego Roma’. Quello sotto ancora: ‘Un diamante da Tiffany’, ‘La ragazza fantasma’… Sono alla cassa con Magda Szabó, devo pagare. «Ma quelli», dico indicando lo scaffale alla cassiera, «sono i romanzi che consigliate ai vostri clienti?». «I libri più venduti, sì», dice lei. «Cioè, i volumi che, in cuor vostro, sentite dover essere indispensabile lettura per chi legge?» dico. «Quelli che vanno di più, infatti», fa lei. «Ma sulla targa io non leggo l’espressione ‘libri più venduti’ oppure ‘top ten nella classifica dei libri più acquistati in Italia’», dico. «Io ci leggo la parola ‘Proposte’». «Proposte, certo», dice la commessa, «quel che ci chiedono maggiormente, insomma». Lascio lì Magda Szabó. Esco sulla piazza del mercato. Mi ricordo che in fondo all’isolato, prima del palazzo della Pilotta, ho visto un giorno un locale dall’insegna ‘Libri e culatelli’.

sabato 20 ottobre 2012

So it goes #19

«Come stai?» dice Z. «Ho bisogno di tacere», dico. «Perché? Parli troppo?». «Smettere di dover dare spiegazioni, intendo».«Ho capito», dice Z. «E X, come sta?» dice. «È a Stoccarda, lavora lì, qualche giorno», dico. «Con la lingua, come fa?» dice. «Gli traduco io, via sms…Ich mӧchte mit dem berühmten Architekten Mathias Ungers sprechen... Che forse è anche morto…He he… Wo ist der Eingang des Geschӓfts?… usw», dico. «Ho capito», dice Z. «A pranzo, cos’hai mangiato?» dice. «Pizzoccheri alla valtellinese liofilizzati». «Ieri sera?».«Pizzoccheri». «Anche giovedì, per caso?». «Trovo che sia un alimento completo», dico. «Ho capito», dice Z. « Ich mӧchte eine Bratwurst und ein Bier, così gli scrivo… Ho bisogno di tacere», dico, «smettere di dover dare delle cazzo di spiegazioni, intendo».
 
So it goes, dice Kurt.

venerdì 19 ottobre 2012

Mano di strangolatore

Tozzi e rincagnati come bulldog, bassi e tracagnotti come cartucce piccole di volume, ma cariche di altissimo esplosivo. Così gli scrittori di forte ingegno, ma privi di principii morali: non si preoccupano di esplodere e offendere chi legge, tanto per loro solo l’effetto conta. Quanto diversi da quest’altro scrittore «forte»: Dostoiewski, ma cristiano e fradicio delle più cristiane malattie: epilessia, istinti criminali disperatamente repressi; il quale trascina il lettore per la tremenda strada del suo delirio e lo riduce uno straccio, ma in ultimo lo afferra e lo tira su, e con la sua mano di strangolatore gli mostra il miracolo dell’Aurora.
[Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Milano, Adelphi, 1984, pag. 182]

giovedì 18 ottobre 2012

So it goes #18

«Da quando le ho viste», dico a Z, «non riesco a levarmele di testa». «Che cosa?». «Le chiappe della Minetti», dico. «…Non è la loro perfezione a colpirmi», dico, «bensì l’inconciliabilità di quelle chiappe alla vita reale». «Cioè, per avere delle chiappe così», dico, «immagino che non ci si possa sedere mai. Nel senso che il semplice schiacciamento della seduta imprimerebbe una deformazione protratta nel tempo, l’inevitabile rovina». «Oh, niente c’è d’inconciliabile!» dice Z. «Se della vita, le chiappe sono il fine». «…Che è, per dirla alla Sant’Agostino, la questione dell’incomprensibilità dell’unione del corpo allo spirito», dico. «La questione è enigmatica, sì», dice Z, «ma parlerei piuttosto dell’incomprensibilità del perché ti caccino fuori un sacco di grana per mostrare nei denti le tue chiappe».
 
So, so so.

mercoledì 17 ottobre 2012

So it goes #17

«Sai come lo intendo io, l’amore?» dico a X. «No». «Come in quel film muto di Paul Leni», dico, «’Hintertreppe’, ‘La scala di servizio’». X non se lo ricorda. «C’è una giovane governante che ha l’amante», dico, «e un postino storpio e vecchio che in segreto della governante si è innamorato». X comincia a ricordare. «All’improvviso questo amante scompare», dico, «e il postino, spacciandosi per lui, comincia a scrivere alla governante le lettere d’amore che un tempo le scriveva l’altro… E la governante niente sospetta». X annuisce: s’è ricordato. «La storia finisce che un giorno l’amante ritorna e il postino lo uccide. Così», dico a X, «io intendo l’amore».
 
 So, so it goes.

martedì 16 ottobre 2012

In nuce e nelle aspirazioni

Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verità, della giustizia, del bene pubblico, conviene cominciare distinguendone i caratteri essenziali. È possibile elencarne tre:
- Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.
- Un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.
- Il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa triplica caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.
[Simone Weil, op.cit., pgg.31-32]
 

lunedì 15 ottobre 2012

Compleanno

Venne il quindici ottobre, il giorno del mio compleanno.
La mattina telefonò mia madre.
«Tanti auguri! Ti ho comprato un regalo bellissimo!» disse, «è qui che ti aspetta per quando torni a casa guarita!».
«Io non guarirò», risposi, «non guarirò mai».
«Come?» disse mia madre.
Riattaccai. 
 
 
«Lo studente Spartaco Vadalà», diceva il telegiornale, «è stato colpito a un occhio da un candelotto sparato dalla polizia…».
«Povero giovane», disse la signora Emma portando in tavola la torta. Al centro della glassa ballava Betty Boop di marzapane.
«Era in corso una manifestazione popolare, la disgrazia è avvenuta a una distanza di quattro metri…».
Gigi batté le mani. Si era vestito elegante, quel giorno speciale, con un maglione verde bottiglia e i pantaloni lunghi. Ma ai piedi calzava i soliti sandali di corda con la suola consumata. C’erano anche l'Erminia e Ivan, due suoi compagni di classe che la signora Emma, col permesso di Sara, aveva invitato. Così stanno un po' in compagnia, aveva detto alla sorella.
«Il ragazzo aveva appena diciotto anni», diceva il giornalista, «è una tragedia per l’intera nazione, ha dichiarato il presidente Saragat…».
 La signora distribuì i piatti di carta colorata e i bicchieri con l'aranciata. Sul video, una barella era trascinata via tra la folla: «Il governo invita il mondo del lavoro e il movimento studentesco a riflettere sulle rivendicazioni sollevate».
Sara accese le candeline e io soffiai spegnendole tutte e sei in un colpo solo.
«Brava!» applaudì la signora Emma.
Poi Gigi si alzò in piedi. Sembrava volesse dire qualcosa, invece allungò il dito indice e lo affondò al centro della torta, dove c'era una decorazione rosa, e se lo leccò.
«Sa di fumo», disse strofinandolo nel vestito a pois dell'Erminia.
[da Le descrizioni]
 

 

sabato 13 ottobre 2012

Democrazia, ancora

La verità è una. La giustizia è una. Gli errori, le ingiustizie, sono indefinitamente variabili. Così gli uomini convergono nel giusto e nel vero, mentre la menzogna e il crimine li fanno indefinitamente divergere. Poiché l’uomo è una forza materiale, si può sperare di trovarvi una risorsa che permetta di rendere quaggiù la verità e la giustizia materialmente più forti del crimine e dell’errore.
Per raggiungere questo fine è necessario un meccanismo adatto. Se la democrazia costituisce tale meccanismo, è buona. Altrimenti no.
[Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, 2008, Roma, Castelvecchi editore, trad.it. Fabio Regattin, pag.26]
 

venerdì 12 ottobre 2012

I greci e la sindrome dell'abbandono

Io, penso, con gli anni, ho sviluppato nella mia testa una sindrome dell'abbandono.
Cerco un episodio nella memoria mia personale dal quale far derivare questo stato emotivo. È così che gli psicologi aiutano i loro pazienti, mi dico. Li obbligano a scavare nell'infanzia, fino a far emergere eventi in apparenza irrilevanti ma che in realtà sono stati cruciali e hanno determinato lo svilupparsi di un lato oscuro e deviato della loro personalità. C'è nella mia infanzia un avvenimento che mi ha traumatizzato a tal punto da far sì che adesso, quarantenne, mi affezioni così patologicamente a certe persone in particolare? Chiudo gli occhi. No, non c'è.
Scavando nella memoria, mi ricordo di una domenica pomeriggio d'inverno con me bambina. Mio padre è in tinello, vestito di tutto punto, il mazzo di chiavi che gli tintinna in mano. È pronto per andarsene al bar, ma io non gli permetto di uscire. Nella mia testa da bambina sono convinta che se varca la soglia di casa, non tornerà mai più. Che io e mia madre per sempre rimaniamo sole. Mia madre accende la televisione. Sono i primi anni Settanta. Celentano canta ‘Chi non lavora non fa l'amore’. Ma il video non mi distrae. Mi distendo davanti l'ingresso di casa, creo uno sbarramento col mio corpo. Mio padre da qui non uscirà, penso, mai e poi mai ci lascerà da sole.
Lo racconto a Cleofe, la gatta parlante. E la gattaccia non la finisce più di sghignazzare, per quanto possa ridere un gatto, arricciando il naso, facendo le fusa.
«I greci», dice alla fine, «lo sai in che modo sono arrivati alla tragedia?».
«No».
«Facendo scattare l'identificazione del pubblico con il dramma del protagonista sulla scena e poi rappresentandone la caduta».
Già.
«Un meccanismo crudele, no?».
Già.
«Sadico, addirittura, forse».
Forse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 11 ottobre 2012

So it goes #16

«Come stai?» dice Z. «Ho bisogno di sognare», dico. «Fai degli incubi?». «Sognare di giorno, intendo».«Ho capito», dice Z. «E X, come sta?» dice. «È a Istanbul, lavora lì, qualche giorno», dico. «Con la lingua, come fa?» dice. «Gli traduco io, via sms… I would like to talk to the archistar Zaha Hadid... ma per dire… Where's the entrance of the shop?... I'll have some meze appetizers… così», dico. «Ho capito», dice Z. «A pranzo, cos’hai mangiato?» dice. «Zuppa inglese», dico. «Ieri sera?».«Zuppa inglese». «Anche martedì, per caso?». «Trovo che sia un alimento completo», dico. «Ho capito», dice Z. «I would like to have a falafel, così gli scrivo… Ho bisogno di sognare», dico, «di giorno».
 
So it goes, so, so.

mercoledì 10 ottobre 2012

So it goes #15

«La Merkel», dico a Z, «va in visita ufficiale in Grecia con addosso la stessa giacca che portava la sera della sconfitta, alla finale dei campionati europei, inflitta dalla squadra tedesca a quella greca… È una stronza?». «Il valore di un’azione, dice Kant», dice Z, «non sta nel suo essere conforme a un modello esteriore. Tutto è concentrato nella sua verità interiore». «E la verità interiore della Merkel quale sarebbe?». «Le elezioni federali», dice Z. «La Merkel», dico, «mi fa venire in mente i personaggi nei quadri del pittore Friedrich. Impettiti, ben fasciati nella loro redingote ottocentesca… Sempre lo stesso modello di redingote indossano… Il colore cambia ma di tanto in tanto. In piedi, immobili, bastone alla mano, mentre sotto di loro si spalanca la voragine». «Infatti», dice Z, «solo che la Merkel, a cambiarsi di redingote, non ci pensa».
 
So it goes, dice Kurt.
 

martedì 9 ottobre 2012

Con comodo

I filosofi dovrebbero salutarsi dicendo: «Fa’ con comodo!».
[Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, op.cit., pag.150]

lunedì 8 ottobre 2012

Bersani e l'arcangelo Michele

La domenica mi sveglio alle due del pomeriggio.
Ho sognato che c'è qualcuno con me nella camera. È un ragazzo dai capelli biondi e ricci, la carnagione rosea. Siede a gambe accavallate nella poltroncina davanti al letto. Mi osserva mentre dormo. Non è minaccioso: sorride. Ha delle ali, soffici, come di cigno. In una mano regge una bilancia. Agganciata in cintura porta una spada nel fodero. La giustizia umana e quella divina. L'arcangelo Michele, penso. Indossa dei jeans sbrindellati, degli anfibi.
Nel pomeriggio esco a fare colazione. È un giorno assolato, con l'aria che sa di carne arrosto e crema solare. Tutti quelli che incrocio sul marciapiede calzano ciabatte infradito. Si dirigono verso via dell'Indipendenza. La spianata di piazza Otto Agosto, con ancora le cartacce del mercato da ripulire, mi sembra un campo nomade con la forza sgomberato. Una folata di polvere negli occhi mi fa lacrimare. Bevo un cappuccino nell'unico bar aperto di via Irnerio. Cammino fino a via Belle Arti.
Davanti a palazzo Bentivoglio sostano due maghrebini, scarpe da tennis bianche, Rayban nuovi. Consultano un iphone cromato. Si divertono. Scattano delle foto coi Rayban. Compro da loro della marijuana.
La fumo davanti la tivù. Dopo il tigì ascolto un’intervista a Pierluigi Bersani. «L'Italia», dice Bersani, «è un paese dove si respira un'anomalia unica al mondo e sottolineo anomalia, eh», dice. «In che senso»? domanda la giornalista.
Bersani ridacchia.
Santiddio, ridacchia. 
Penso ad Agamben.
È l’inoperosità, dice Agamben, il nuovo paradigma dell’azione umana, e anche il modo di fare politica oggi.
«Ah sì?» dico all’arcangelo Michele.
«Sì», fa lui.

sabato 6 ottobre 2012

Descrizione del film ‘Reality’ – regia di Matteo Garrone

Ci sono le nozze in stile borbonico che vanno a morire nello stanzone muffito sopra un doppio letto matrimoniale.
C’è l’ex concorrente GF identico a uno che frequentava il Dams, eppure lui non è perché troppi anni sono passati ormai.
C’è il grillo aggrappato allo stipite del salotto che Luciano è certo essere l’occhio della telecamera lassù installata a spiare la sua vita.
C’è un robottino per miscelare la pasta dall’aspetto antidiluviano, che combinati così neanche negli anni Sessanta, che una vecchia sdentata crede trattarsi di alta tecnologia.
C’è il pescivendolo con figli a carico che in tivù si beve i concorrenti del reality show, palestrati, abbronzati, spregiudicati, allupati e pensa Devo essere lì, perché sono proprio come loro.
C’è una piazza di Napoli con la statua del Cristo che benedice al centro, che non so se esiste perché a Napoli mai ci sono stata, ma se esiste bisogna che ci vada.
C’è un prete che prima dice la parola ‘Essere’ poi la parola ‘Apparire’, che non sono parole da prete eppure non si vede l’ora che le dica.
 

 

venerdì 5 ottobre 2012

Sgherri neri e veloci

Si scrive per i propri vicini o per Dio. Decisi di scrivere per Dio con la mira di salvare i miei vicini. Volevo dei beneficiati e non dei lettori. Il disprezzo corrompeva la mia generosità. Già nel tempo in cui proteggevo le orfanelle, cominciavo col liberarmi di loro facendole andare a nascondersi. Diventato scrittore, la mia maniera non cambiò: prima di salvare l’umanità, avrei cominciato col bendarle gli occhi; soltanto allora mi sarei voltato contro i piccoli sgherri neri e veloci, contro le parole; quando la mia nuova orfanella avrebbe avuto il coraggio di sciogliersi la benda, io sarei stato già lontano.
[Jean-Paul Sartre, Le parole, op.cit., pag.124]
 

giovedì 4 ottobre 2012

So it goes #14

«Non puoi sembrare né troia né ragazzina», dice il faccendiere Tarantini a Barbara Guerra, invitata a cena da Berlusconi. «Ti devi mettere cappotto scuro e pantalone chiaro. Oppure pantalone scuro e cappotto scuro», dice. «L’importanza dalla gente attribuita all’abbigliamento», dice Z, «è un fatto che non mi spiego». «È evidente, invece», dico. «Togliatti, per esempio. È proprio in virtù dell’abito che ha indosso che quel giorno s’innamora di Nilde Iotti. Nell’ascensore di Montecitorio la incontra. Lei porta camicetta bianca e gonna blu. Togliatti rimane folgorato». «Dal rigore dell’abbigliamento, intendo», dico. «Non ti seguo», dice Z. «Nel viaggio in Marocco, un solo vestito mi ero portata. Ce l’avevo addosso. La sera con quel vestito facevo la doccia. Lo risciacquavo e appendevo sulla vasca. Al mattino era asciutto. La mia igiene era la pulizia del vestito», dico. «Non ti seguo», dice Z.
 
So it goes, dice Kurt.

mercoledì 3 ottobre 2012

So it goes #13

«Scusate se alcuni fatti raccontati sono un po’ piccanti», dice Boccaccio ai suoi lettori, prima della quarta giornata del Decameron, «è che… lo ammetto: mi piacciono le donne». «Non ho mai saputo come condurre correttamente la mia vita sessuale o emotiva», dice Sartre, «per lo più, mi sono profondamente e sinceramente sentito uno sporco bastardo». «Ma come?» dice Manfredi, nel film ‘Il giocattolo’, alla moglie, «abbiamo passato una vita a chiederci ‘la pasta, la vuoi al burro o al sugo?’». Lei gli ha appena sparato.

 
So it goes, so it.









 

martedì 2 ottobre 2012

So it goes #12

«Come stai?» dice Z. «Ho bisogno di dormire», dico. «Soffri d’insonnia?». «Dormire anche di giorno, intendo». «Ho capito», dice Z. «E X, come sta?» dice. «È a Parigi, lavora lì, qualche giorno», dico. «Con la lingua, come fa?» dice. «Gli traduco io, via sms… Je voudrais parler avec l’architecte Jean Nouvel… Ou est l’entrée du magasin?... Un verre de Pinot noir, s’il vous plaȋt… così», dico. «Ho capito», dice Z. «A pranzo, cos’hai mangiato?» dice. «Insalata russa», dico. «Ieri sera?». «Insalata russa». «Anche domenica, per caso?». «Trovo che sia un alimento completo», dico. «Ho capito», dice Z. «Je voudrais un croque monsieur, così gli scrivo… Ho bisogno di dormire», dico, «anche di giorno».
 
So it goes, so, so.

lunedì 1 ottobre 2012

A little piece of my heart

Mai l’ho capito, se quell'abito di seta appartenuto a mia madre, che mi piaceva indossare nelle occasioni speciali, fosse vestito oppure sottoveste oppure camicia da notte. L'unica cosa certa è che mia madre ne era gelosissima. Lo teneva piegato in un cassetto insieme ai foulard. Mai gliel'ho visto addosso. Mai ha lasciato il cassetto. Un giorno, che ero adolescente, e mia madre era uscita per andare al funerale di una prozia, lo tirai fuori. Lo distesi sul letto. Mi piaceva. Era di seta grezza, color crema. Mi faceva pensare a certi vestiti beat degli anni Settanta. Lo indossai. Misi sul piatto del giradischi l'lp 'Pearl' di Janis Joplin. Shake it, cantai davanti lo specchio, take another little piece of my heart now baby. Ci ballai dentro. Lo spiegazzai. E quando me lo sfilai, mi accorsi che dietro, nella parte alta della gonna, si staccava una piccola macchia scura. È sangue, pensai. Ed ebbi l'intuizione. Ecco la camicia da notte che mia madre ha indossato la prima notte di nozze, mi dissi. Lei se ne accorse, che lo avevo messo. Lo stirò. Lo ripose nel cassetto. Non mi disse niente.