C’è un panzuto
imbonitore siciliano riciclato in cantante neomelodico che vuol convincere il
pubblico a blaterare l’assurdo jingle di sottofondo allo spettacolo, la-la-la-la
– oltre che a schioccare le dita… che finisce col dimenare le chiappe in un
minicostume degno di Josephine Baker.
C’è una coppia
di gommosi, ipercinetici ballerini argentini lanciati in passi di tango che - non
si sa bene come - si trasformano nei salti di un rock&roll acrobatico.
C’è uno
spogliarello da manuale, di quelli con la sedia, la guepiere: da manuale, sì.
E c’è la
soubrette transessuale Stellina, la Prima Donna dello sgangherato show, che con
emozione ci racconta il suo grande amore: di quel Principe Azzurro («‘Principe’
di nome, ‘Azzurro’ di cognome», dice), il commesso del calzaturificio, bello
come un dio, che un giorno entra nella sua vita, e mai più ne esce.
C’è la voce
stravolta di Stellina che racconta di quando Principe le dice, e senza troppi
complimenti, che tiene moglie e figli. E quelle parole: «Be’? Le creature, le
posso crescere io! Saremo una vera
famiglia!», quel suo disgraziato sogno di normalità.
E da quel
momento, la voce non la smette più, di raccontare: lo scontro, senza l’ombra
della vergogna, con l’ignara moglie del suo amante; il timbro che – durante la
tragicomica confessione - subisce un’inaspettata metamorfosi, e all’improvviso vomita
la rabbia, la potenza del cuore maschile.
L’impurità,
viene da pensare, può essere amore puro.
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