venerdì 30 novembre 2012

Descrizione dello Studio su ‘La classe morta’ di Tadeusz Kantor – regia di Nanni Garella – Teatro delle Moline – Bologna – novembre/dicembre 2012

Ci sono dodici vecchi, forse già cadaveri di se stessi, a gruppi di tre seduti ai banchi di scuola della loro infanzia, e ci sono i dodici fantocci di loro bambini.
C’è la Donna delle Pulizie, mastodontico orco che mette in riga la Classe, sbriga le Grandi Pulizie di Primavera, e tra un annuncio pubblicitario e uno matrimoniale, sul giornale legge dell’assassinio del principe ereditario d’Austria e così via, gli anni che si bruciano nella Grande Guerra.
C’è la stessa donna conciata in modo osceno, pornografico, la metamorfosi in baldracca… Si sa, mica è fatta di annunci matrimoniali, la vita.
C’è la Donna della Finestra, che da dietro un vetro slabbrato e sudicio guarda la Classe e dice: «Bambini, andate fuori a fare una passeggiata».
C’è la Prostituta Sonnambula che offre il capezzolo a tutti, basta aprire la zip.
C’è la Donna Madre, che per un crudele scherzo, i compagni di Classe tengono prigioniera, a gambe spalancate, in un parto grottesco, e c’è la stessa donna che culla una culla che sembra una bara e dice: «Voglio essere una coniglia».
Ci sono dodici vecchi che giocano a carte con gli annunci funebri della loro morte.
E c’è, continuo, un refrain, da organetto tipo, che dopo ventiquattr’ore ancora ce l’ho piantato in testa… Che mette la Classe in fila a marciare, un branco di soldati impasticcati, intorno ai banchi.
Ci sono dodici attori ex pazienti di ospedale psichiatrico e fin dall’inizio lo sappiamo, che le frasi che diranno sono le loro frasi, i gesti che compieranno i loro gesti.
 

giovedì 29 novembre 2012

Sotto l’indice mio sospeso

Contro il muro che separa il terrazzo dalla cucina schiaccio un gran numero di formiche. Una colonia d'insetti si è insediata negli stipiti della finestra. Le formiche sono indaffarate. In un viavai continuo attraversano la parete. Da dove provengano non è chiaro. Dal sottotetto, forse. Penetrano nella fessura trasportando frammenti di cibo. Li depositano. Ripartono. Sono le provviste per resistere all'inverno. Le ammazzo. Spazzolo via i corpi. A un certo punto vedo che una formica è rimasta attaccata al muro. È agonizzante. Tra le formiche in fuga, un’altra interrompe la sua corsa, le si ferma vicino. La raccoglie. Sotto l’indice mio sospeso compie una strana manovra, con le zampe, un movimento di sollevamento, ma circolare. Si è caricata la formica morente sul dorso. Si trascinano, perché la formica in fin di vita è più pesante della sua trasportatrice. Che procede sbandando, per trenta, quaranta, cinquanta, sessanta secondi, sul muro deserto, che le altre formiche, sapendo essere spazio di morte, hanno abbandonato. Sotto l’indice mio sospeso la formica soccorritrice si trascina, in uno sforzo disumano, una tensione concentrata nelle zampe che nessun mirmecologo mai potrà misurare, mai. Perché lo fa? Perché rischia la vita? Potrebbe scappar via, sotto l’indice mio sospeso, perché?

mercoledì 28 novembre 2012

Farsi incatenare al frigorifero

Da secoli la letteratura rosa ci fa sognare con i suoi maschi belli e ricchi, generosi e capaci di amore sublime, quindi c’è chi è rimasto un po’ spiazzato del successo epocale di una trilogia che più che essere rosa è rosa shocking, essendo la grande passione del meraviglioso giovanotto ultradotato legata a fruste, corde e catene. Su questo particolare lei sorvola, come se non contassero: ma se mentre lei viaggia sulla sua scassata automobile, le si avvicinasse un divino giovanotto che le promettesse una Ferrari se lei si lasciasse dare cento frustate in mezzo alle gambe, cosa farebbe? A letto, consenzienti, si fa quel che più piace, che sia amore o no: e siccome non tutte le donne sono contente di farsi incatenare al frigorifero, né tutti gli uomini hanno il coraggio di sculacciarle con la scopa, se due s’incontrano su questo piano, certo risultano unici l’uno per l’altra.
[Risposta a firma di Natalia Aspesi alla lettera che vi ho postato ieri]
 
 
 
 
 
 
 

lunedì 26 novembre 2012

So it goes #31

«Si può dare di più perché è dentro di noi», dice Pier Luigi Bersani. «Si può dare di più senza essere eroi», dice Matteo Renzi.


So it goes, dice Kurt.
 
 
 
 
 
 
 

sabato 24 novembre 2012

Descrizione della pre-registrazione per dare il voto alle primarie del Pd

C’è una donna che dice: «Questa non è la vostra sezione di zona che è invece quella in via S.V. che oggi è chiusa».
C’è la stessa donna che dice: «Siccome la vostra sezione di zona è chiusa, potete anche registrarvi qui».
C’è una donna che legge la mia carta d’identità e dice: «Il suo cognome, qual è?».
C’è la stessa donna che apre la mia carta d’identità e dice: «Il suo luogo di nascita, qual è?».
C’è una donna che rivolgendosi a M., sfoglia la sua carta d’identità e dice: «Il suo luogo di nascita è Bologna?». «No, Pisa», dice M. Così la donna scrive: Bologna.
C’è M. che dice: «Il mio luogo di nascita è Pisa». «Ho capito», dice la donna.
C’è una donna che invano cerca il nostro nome su una lista di nomi.
Ci sono io che dico: «Non ci può essere, il nostro nome. Perché, come lei ha detto poc’anzi, questa non è la nostra sezione di zona. È inoltre la prima volta che votiamo alle primarie del Pd».
C’è la stessa donna che dice: «La prima volta, ha detto?». «La prima», dico io.
C’è una donna che, con le nostre carte d’identità in mano, va nella stanza attigua, ritorna e dice: «Voi, l’ultima volta, alle primarie, dove avete votato?».
C’è M. che si strofina le lenti degli occhiali nel fazzoletto da naso gesto che compie quando gli sale il nervoso.
C’è la stessa donna che dice: «Controllate sul pieghevole che il vostro luogo e la data di nascita siano corretti». «Sul mio, manca il luogo», dico. «Ho capito», dice la donna. «Lei, dov’è nata?».
 

venerdì 23 novembre 2012

Non siamo dei sognatori

Io e Max ci siamo conosciuti cinque anni fa a una mostra d'arte di un suo amico artista.
Era il 18 novembre ed Emilio organizzò un trekking sul monte Adone, una cima dell'Appennino bolognese. Lungo il tragitto ogni tanto ci si fermava per una sosta. Emilio leggeva il brano tratto da un filosofo, si esibiva in una performance; un critico diceva la sua. Poi si ripartiva.
Io però non sono un tipo sportivo e dopo un'ora di cammino ero spossata. Il sentiero prese a salire in modo ripido. A un certo punto il terreno franò; mi aggrappai a un tronco. Rischiavo di cadere, se non fosse stato che Max era dietro di me e mi afferrò.  
Quell'estate vinse un soggiorno premio in Egitto. Era il terzo giorno, eravamo ad Alessandria, quando si beccò la dissenteria. Aveva la febbre alta. Entrai in bagno, quella notte. Lo vidi tremare sul water. Capii allora che non l'avrei lasciato più.
«La potenza della merda», dice Max ricordando quella volta.
Questo viaggio gli fu regalato da un consulente di Mediolanum poi inquisito per aggiotaggio al quale aveva progettato gli arredi della villa in Costa Smeralda. Max è disegnatore, in quel periodo era dipendente di un'azienda che produceva mobili di lusso. Poi si licenziò, aprì un suo studio.
«Di leccare il culo, ne ho piene le palle», dice sempre.
Io, all'epoca, non avevo ancora chiaro cosa sarei diventata. «Senza padroni», diceva invece lui. «Senza padroni», ripeteva.
Ci assomigliamo un po', penso. Non siamo dei sognatori.
[dalla Guida gastronomica]

giovedì 22 novembre 2012

Per quanto sia alto il trono

Per quanto sia alto il trono sul quale ci si siede, sempre si rimane seduti sul proprio sedere.
[M. de Montaigne]

 

mercoledì 21 novembre 2012

So it goes #30

Il giorno che Y mi dice che ha un cancro, e non operabile, io, la prima cosa che ho pensato sono state tutte le volte che io e Y ci siamo mandati a fare in culo. Ma guarda te, proprio adesso, che siamo in pace… Che razza di bastardo, ho pensato.


So it goes, dice Kurt.

martedì 20 novembre 2012

Uomini di legno

La massa degli uomini serve lo stato non come uomini, bensì come automi, con il solo corpo. Essi formano l’esercito regolare, e così pure la milizia, i secondini, i poliziotti ecc. Nella maggior parte dei casi, non vi è nessun libero esercizio né della facoltà di giudizio né del senso morale; questi uomini si mettono allo stesso livello del legno, della terra, delle pietre; anzi si potrebbero addirittura fabbricare uomini di legno che servano altrettanto bene allo scopo. Uomini del genere non incuterebbero maggior rispetto se fossero fatti di paglia o di sterco. In un certo senso hanno lo stesso valore dei cani e dei cavalli. E tuttavia, esseri simili sono comunemente ritenuti buoni cittadini.
[Henry David Thoreau, Disobbedienza civile, Milano, SE, trad. Laura Gentili - pag. 15]

lunedì 19 novembre 2012

So it goes #29 - ovvero Tintoretto e il lacrimogeno

«Dice Sartre», dico, «che lo squarcio giallo sopra il Golgota, non è che l’artista l’ha dipinto per rappresentare l’angoscia». Io e Z stiamo guardando la riproduzione di una tela del Tintoretto. «Quel giallo ‘è’ angoscia, dice Sartre», dico. «Dice, Sartre, che gli artisti - i pittori, gli scultori, gli scrittori - anziché ‘fare della poesia’ sulle cose, farebbero meglio a ‘fare’ le cose». «Infatti Tintoretto faceva dello spettacolo», dice Z che è storica dell’arte, «adesso lavorerebbe come consulente immagine per MTV, stanne certa... Oh, l’effetto lacrimogeno... quanto gli piacerebbe! In discesa, poi!» dice Z rapita. Cerca di cambiare argomento, è chiaro. «Z», dico, «lascia stare i lacrimogeni che non è il momento… Uno sputo, dice Sartre, non è la parola ‘sputo’, bensì grumo di vomito ovvero macchia slabbrata e immonda su un vetro impiastrato d'insetti, così direbbe Sartre», dico, «così».
 
 
So it goes, so it_

domenica 18 novembre 2012

L'uomo è progetto

L’ascensore si spalanca su di una corsia d’ospedale e all’improvviso i bambini sono dappertutto. Asiatici, mediorientali, esteuropei. Strizzano pupazzi, si strappano di mano un videogioco rosso, oggetti gommosi che fischiano. Si soffiano il naso per terra, si slacciano le scarpe da tennis e spiccano la rincorsa a piedi nudi. Fanno scoppiare sacchetti di patatine vuoti. Ridono come dei folli. Sono privi di equilibrio. Vanno a sbattere contro i vecchi in carrozzina. Le donne li trascinano via per mano, si chiudono dentro a stanze dove ci sono altre donne, altri bambini, come se fossero nati e in un baleno cresciuti lì dentro. Quella frase di Heidegger, ‘l'uomo è progetto, l'uomo è movimento in lontananza’, pensaci, ti dici, pensaci.



Una linea crudelmente retta

Un’indicazione viene da Blanchot:
 
 
Una delle sorprese della mascalina consiste nella sua purezza. Essa impedisce all’agitazione di finire in confusione e, così come esclude il vago disordine, distrugge anche la calma composizione dell’ordine. Le immagini che offre sono troppo pure. La loro artificiosità è dovuta a questo eccesso di purezza. Tutto è vertiginoso senza vertigine: il regresso all’infinito si opera nel secco orrore di un’implacabile precisione. L’oblio è solo la ripetizione del No che respinge il finito respingendo anche il non finito, con una potenza crudele che fa già parte della rettitudine della macchina […]. La mescalina è quasi senza spazio, fa del pensiero una linea crudelmente retta […]. Sempre un’unica direzione, e questo per l’eternità.
[Maurice Blanchot, Noi lavoriamo nelle tenebre, Novi Ligure, Edizioni Joker, 2006, pag.37 – a proposito di Henri Michaux]

venerdì 16 novembre 2012

La felicità della donna calva a metà

Sul tetto davanti al mio terrazzo si aggira una donna. Indossa un camice bianco, da infermiera. Cammina a piccoli passi, cauta tra le tegole, attenta a mantenere l'equilibrio. È calva, ma solo per metà del cranio. Sull'altra metà, la chioma rada di media lunghezza è raccolta in un codino. Che razza di bizzarria, penso, una donna calva a metà. Poi dalla finestra velux sul tetto, spunta una testa d'uomo, un braccio, la mano che stringe una parabola satellitare con sopra la scritta ‘Sky’. I due installano la parabola vicino a un comignolo spento. Alla fine del montaggio, la donna sembra soddisfatta. Seguita dall'uomo, ridiscende lungo una scaletta che penetra nel sottotetto. M’immagino che vista l'ora tarda, chieda all'uomo di restare a cena da lei e lui accetti. L’uomo ha accettato, sì. Così me li immagino, l'uomo e la donna, mentre allegri, davanti a un bicchiere di Sangiovese, si raccontano le loro rispettive vite. Poi m'immagino la donna in vestaglia, adagiata comoda comoda nella poltrona del suo salotto in stile, con le dita che sfiorano il telecomando, mentre salta da un canale tematico all'altro, di buon umore perché ha tutti quei programmi nuovi da vedere, e in più ha fatto la conoscenza di quest’uomo che le ha chiesto di andare al cinema con lui, un giorno della settimana prossima, e lei già sta pensando a quale film, quale vestito. Vado a letto. Con in testa la felicità della donna calva a metà, mi addormento di botto.

giovedì 15 novembre 2012

So it goes #28

X guarda Lilli Gruber che intervista Aldo Busi in tivù.
«La decomposizione», dice, «è d’altronde un fenomeno naturale».

 So it goes, dice Kurt.

mercoledì 14 novembre 2012

Churchill e i settantenni


La sera guardo il programma di ricerca delle persone scomparse, la più strepitosa fiction della tivù italiana. Si cerca un uomo, settantenne, che dopo aver seppellito la moglie morta di cancro, da Tradate se n'è andato in viaggio premio a Bucarest. «Si è messo in valigia una scorta di pastiglie Viagra», racconta un suo amico tradatese, «poi dev’essere uscito dalla pensione col Viagra nel borsello, dato che in camera niente han ritrovato, e per le vie di Bucarest bum! si è volatilizzato». Un dipendente del consolato italiano, allertato dal nipote, scuote la testa. «Ah, qui è pieno di puttanieri italiani», dice telecamere spente al giornalista, «tutta gente che viene per trovare conforto… per un motivo o per l’altro, si capisce, han tutti la moglie morta di cancro, si capisce, si capisce… Arrivano con le loro pastiglie, e per sempre qui rimangono. Fanno i fenomeni. Credono tutti di essere come…». «Come chi?» chiede il giornalista. «Eh, ci capiamo…» dice il dipendente. «Quello lì ci ha rovinato un’intera generazione di maschi settantenni! Lo sa cosa diceva Churchill?... ‘Mi piacciono i maiali’, diceva, ‘perché i cani ci guardano dal basso, i gatti dall’alto, i maiali invece ci trattano da pari’… A proposito, lei è sposato?» chiede al giornalista, che vai sui sessanta, in verità.
 

martedì 13 novembre 2012

So it goes #27

«Il mio modello», dico a X, «vuoi sapere chi è?». X scuote la testa. «Non è Nilde Iotti e nemmeno papa Giovanni né il cardinal Martini». «Neanche De Gasperi?» dice X, che intende sfottere, «o Martin Luther King?». «No», dico, «e neanche la blogger tunisina che pure stimo… Il mio modello è l’artista Marcel Duchamp», dico, «ma non l’opera: la sua vita proprio». «Duchamp», dico, «che dopo essersi travestito da Rrose Sélavy e tutto il resto dice ‘Ragazzi miei, tanti saluti! D’ora in poi esclusivamente al gioco degli scacchi intendo dedicarmi!’… E lo sai perché, è il mio modello?». X scuote la testa: ascolta Nichi Vendola, tutto quell’agglomerato di ‘esse’ in un solo corpo. «…Perché la vita, Duchamp con trucida maestria è riuscito a dividersela in due metà simmetriche: caos/ordine, relativo/assoluto». X ascolta Bruno Tabacci, che gli piace per come aggrotta la fronte, dice, la serietà che in quella piega di pelle umana sta tutta concentrata. «…Per dirla alla Rousseau», dico, «Duchamp capisce che è dalla passione che nasce il crimine… mentre la ragione, be’, quella sceglie sempre e senz’ombra di dubbio la giustizia… È chiaro il genio?». «La cravatta viola, Matteo Renzi, guardaci un po’», dice X, «la porta proprio come un americano…».
 
So so so.
 

venerdì 9 novembre 2012

Perfetta

Mentre mi applico l'eyeliner mi accorgo di un cambiamento in faccia. Nella guancia destra, di fianco al setto nasale, dall'alto verso il basso, diagonale, è spuntata una ruga. Più somigliante a una crepa, incisa nel tessuto poroso della pelle. E parallela alla ruga americana.
Mi è venuta vent'anni fa, la ruga americana. Mi accorsi della sua presenza un mattino d'agosto, specchiandomi nel bagno della mia famiglia. Ero appena tornata dagli Stati Uniti, dove avevo studiato all'Università.
Da principio pensai che fosse solo il lascito temporaneo dello stress da viaggio, il jet lag ecc. Pensai che riposando sarebbe scomparsa e la mia faccia sarebbe tornata quella di sempre. Invece non se n'è andata più. Si è sedimentata, è diventata un segno familiare. Si è armonizzata col resto della faccia. Più o meno profonda. Evidente a seconda dei giorni. A seconda dei pensieri.
Guardo la ruga gemella adesso. Identica, simmetrica.
Così la mia faccia è completa, penso. Ogni linea ha il suo doppio: l'opposto corrispondente.
Per un attimo mi sento perfetta.

giovedì 8 novembre 2012

So it goes #26

«Thank you», mi twitta Barack. «You’re my sunshine my only sunshine!» gli twitto. «Il ministero dei beni culturali non funziona», mi twitta Matteo, «è vittima dei burocrati». «Bisogna che la demoliamo! Tutta quella roba vecchia!... Città nuove di zecca! Lavoro ai giovani architetti!» gli twitto. «Così non ci siamo, serve governabilità», mi twitta Pier Luigi. «Qualcuno teme che governiamo noi», twitta. «Oh pretty woman», gli twitto, «walking down the street… pretty woman, the one I’d like to meet…». «You pretty woman», twitto a Pier Luigi. Mentre leggo il tweet di Laura, salta la luce.
 
So it goes, so so.

mercoledì 7 novembre 2012

So it goes #25

 «This happened because of you», mi twitta Barack, «thank you». «You’re baraccckissimo!» gli twitto. «Vorrei una legge elettorale», mi twitta Matteo, «in cui un’ora dopo, chi perde si congratula con chi vince». «Hai visto un bel mondo», gli twitto, «ma mettiti in contatto con Mitt». «Chiedo di essere creduto», mi twitta Pier Luigi, «perché vi dirò le cose come sono». «In God we trust», gli twitto. «Vai con Dio! Lascia perdere Gramsci! Uomo bianco, vai col tuo Dio!». Mentre leggo il tweet di Nichi, salta la luce.

So it goes, twitta Kurt.

 

martedì 6 novembre 2012

Il Presidente, les toilettes

Ho sempre pensato che il Presidente degli Stati Uniti potrebbe fare molto per cambiare certe idee. Se il Presidente entrasse nella toilette pubblica del Capital Building, e si lasciasse riprendere dalla telecamera della televisione mentre la pulisce, e dicesse ‘Perché no? Qualcuno deve pur farlo!’ be’, questo farebbe molto per il morale di quelle persone che fanno il meraviglioso mestiere di pulire le toilettes. Voglio dire, è una cosa meravigliosa, quella che fanno.
Il Presidente ha un potenziale talmente grande per far buona pubblicità che non è stato sfruttato. Basterebbe che un giorno si sedesse e facesse una lista di tutte quelle cose che la gente è imbarazzata a fare e che non dovrebbe essere imbarazzata a fare, e le facesse tutte in televisione.
A volte fantastico su quel che farei io se fossi il Presidente – come in televisione userei il mio tempo.
[Andy Warhol, The Philosophy of Andy Warhol, London, Penguin Books, 1975, pag.100, mia trad.]

 

Dice


lunedì 5 novembre 2012

So it goes #24

«Per esempio», dico a Z, «quelli che dicono ‘L’arte contemporanea è qualcosa che io non capisco’… Per me, non sono del tutto a posto, col cervello». Z ride. Di solito ride, quando esprimo un’opinione nella quale tutto il mio profondo convincimento pongo. «Sarebbe come», dico, «se un giorno, camminando per strada, ti cade in testa una tegola che ti tramortisce al suolo… oppure, siedi nel soggiorno del tuo appartamento, e un tornado, ma all’improvviso, proprio lì, sotto i tuoi occhi, che magari stai leggendo il giornale, irrompe sbriciolando i doppi vetri della finestra… oppure, un Suv maledetto bam! ti sfonda il portone di casa e…». «Ho capito… Ho capito», dice Z, che diventa impaziente quando entro nel dettaglio. «…Sarebbe come», dico, «se posta davanti a una di queste esperienze estreme e straordinarie, anziché con indubitabile forza prenderne atto, tu dicessi ‘E allora? Che cosa significa?’». «…Io non capisco perché quelli, gli metti davanti la ‘Veduta di Delft’, e la trovano fichissima e un capolavoro e geniale e inimitabile, e invece… una pecora imbalsamata e calata nella formalina, per dire, sembri loro schifosa e aliena». «Ma al mattino», dico, «quando escono di casa, salgono su una Fiat Panda o su un cavallo purosangue?... Che cosa credono? Che la bellezza l’orrore lo strazio l’euforia il perdono la vendetta, che la nascita e la morte siano categorie già morte e seppellite e noi dei moderni zombi senza pensiero? E tutto quel che c’è la fuori, oggi, bastardo 5 novembre 2012… cos’è allora, signori miei? gli chiederei, merda?».
 
So it goe, so it goes, dice Kurt.

domenica 4 novembre 2012

Porta

Un uomo è prigioniero in una stanza se la porta non è sbarrata e si apre dell’interno, e se a lui non viene in mente che anziché spingere bisogna tirare.
[Ludwig Wittgenstein, op.cit., pag.86]

 

 

sabato 3 novembre 2012

So it goes #23

 «Su quella frase che Macbeth dice, ‘La vita è una storia raccontata da un idiota’», dico a X, «’piena di rumore e furia’, dice, ‘che non significa niente’… be’, io dissento». «Io penso semmai che nella vita, di significato, fin troppo ce ne sia», dico. «Per dirla con una metafora gastronomica, io penso che la vita sia un po’ come uno di quei dolci natalizi dalla pasta dura», dico a X. «Che nell’impasto, di tutto ci trovi… Dai canditi ai fichi secchi, dal croccante al cioccolato… Ne mangi un pezzo, e subito lo capisci, che è stato troppo, che ti provoca la nausea, perché troppi sono gli ingredienti lì dentro concentrati e tutti ugualmente nutrienti e calorici e col loro inconfondibile sapore… Era troppo! ti dici, hai fatto una sciocchezza, sbagliato la quantità!… Addenti un gheriglio di noce, e tac! ti salta via un ponte dentale…». «E allora?» dice X. «Il fatto è», dico, «che quel che hai mangiato, e questo te lo ricordi molto bene, era davvero una prelibatezza. Era elettrico e pieno di calore». «Il fatto è», dico a X, «che di mangiarlo, prima o poi, lo sai bene che ancora ne avrai voglia. E così sarà per sempre. E non te ne importa se vomiterai, se perderai i denti… Per sempre». Io così direi a Macbeth che è la vita.
 
So, so.

venerdì 2 novembre 2012

Sensazione esilarante

Ci sono persone che non credono in niente fin dalla nascita. Ciò non toglie che tali persone agiscano, facciano qualcosa della loro vita, si occupino di qualcosa, producano qualcosa. Altre persone invece hanno il vizio di credere: i doveri si concretizzano davanti ai loro occhi in ideali da realizzare.
Se un bel giorno costoro non credono più […], ecco che riscoprono quel ‘nulla’ che per altri è stato sempre, invece, così ‘naturale’.
La scoperta del ‘nulla’ per essi è però una novità che implica altre cose: implica cioè non solo il proseguire dell’azione, dell’intervento, dell’operosità (intesi ora non più come Doveri ma come atti gratuiti) ma anche la sensazione esilarante che tutto ciò non sia che un gioco.
[Pier Paolo Pasolini, op. cit., pag.423]

 

giovedì 1 novembre 2012

Descrizione di ‘Operetta burlesca’ Studio n.1 – regia di Emma Dante – allestita ai Teatri di Vita – Bologna – 31 ottobre e il primo novembre ‘12

C’è un panzuto imbonitore siciliano riciclato in cantante neomelodico che vuol convincere il pubblico a blaterare l’assurdo jingle di sottofondo allo spettacolo, la-la-la-la – oltre che a schioccare le dita… che finisce col dimenare le chiappe in un minicostume degno di Josephine Baker.
C’è una coppia di gommosi, ipercinetici ballerini argentini lanciati in passi di tango che - non si sa bene come - si trasformano nei salti di un rock&roll acrobatico.
C’è uno spogliarello da manuale, di quelli con la sedia, la guepiere: da manuale, sì.
E c’è la soubrette transessuale Stellina, la Prima Donna dello sgangherato show, che con emozione ci racconta il suo grande amore: di quel Principe Azzurro («‘Principe’ di nome, ‘Azzurro’ di cognome», dice), il commesso del calzaturificio, bello come un dio, che un giorno entra nella sua vita, e mai più ne esce.
C’è la voce stravolta di Stellina che racconta di quando Principe le dice, e senza troppi complimenti, che tiene moglie e figli. E quelle parole: «Be’? Le creature, le posso crescere io! Saremo una vera famiglia!», quel suo disgraziato sogno di normalità.
E da quel momento, la voce non la smette più, di raccontare: lo scontro, senza l’ombra della vergogna, con l’ignara moglie del suo amante; il timbro che – durante la tragicomica confessione - subisce un’inaspettata metamorfosi, e all’improvviso vomita la rabbia, la potenza del cuore maschile.
L’impurità, viene da pensare, può essere amore puro.