«Nichi Vendola», dico a Max, «mi
fa venire in mente Trotckij. Nel ’17, quando abitava a New York». Ci penso, a
questo, perché lo vedo concentrato su delle poesie di Brotskij. «I camerieri
della trattoria dove andava a mangiare, lo odiavano, Trotckij. Perché non
lasciava la mancia. ‘Mai vorrei ledere la dignità di un lavoratore’, spiegava a
chi gli chiedeva ragione del comportamento insolente… Oppure, mi fa venire in
mente, Nichi Vendola, che pure stimo, come uomo, e politico perfino», dico,
«Pasolini, per certi versi, quando per strada intervistava i sottoproletari
meridioni, gli domandava se preferivano campagna o città, e loro rispondevano
‘la città! il progresso senz’altro!’ e lui ci rimaneva male, incassava questa
delusione, poveretto, ma era sincero». Max mi dice che Brotskij, sbarcato in
America, subito rimase folgorato dal jukebox, distributore di perle di
saggezza a buon mercato, diceva, yankee. Così. Così.
So, so.
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