sabato 22 dicembre 2012

Descrizione della mostra ‘George Grosz: gli anni di Berlino’ – disegni tra il 1912-1931 – allestita alla galleria De’ Foscherari Bologna – fino a febbraio 2013

Ci sono donne svestite dal corpo abnorme, le grosse mammelle spenzolanti, che agli uomini provocatoriamente mostrano lo sterminato sedere, e slanciando la linguaccia di fuori fanno marameo. Cleopatra è una di loro, la Regina delle Puttane (Cleopatra, 1920).
Ci sono donne vestite in accessoriati completi borghesi, stola di pelliccia al collo, piccole borsette in pelli di bestie rare: al parco spingono la carrozzina con dentro il diletto neonato (Il rampollo, 1930), scavallano le gambe nei caffè, si ritoccano le labbra, ante litteram effetto silicone (suine, in realtà), dilatano le narici, anch’esse scrofesche.
Ci sono gli uomini-che-odiano-le-donne (specie quelle che gli fanno la linguaccia, si capisce), pelati in perfetto stile Mussolini, uniforme militare con mostrine appuntate alle spalle (Agamennone, 1919): uomini che le donne, le anelano, ma quando ce le hanno davanti, strafottenti, piene di spirito, volentieri le farebbero fuori.
C’è l’arroganza del macho e la sua irrisione tutta al femminile (avete notato che i soggetti maschili di Grosz hanno sempre un sesso minuscolo?).
C’è una Notte di nozze (1923) tra sposini uomini, con uno dei due agghindato in pizzo e giarrettiera che all’altro sembra dire: «Caro?»… Spassoso! Esilarante!
C’è un pittore davanti al cavalletto, che ha poco da misurare la tela con squadra e goniometro…  tanto lì dentro, il donnone che gli fa da modello, nemmeno compresso su scala ultraridotta ci entrerà mai. Non a caso il titolo del disegno è Nuova Oggettività (1925): più oggettivo di così, in effetti.
C’è - nel senso che questi disegni ce lo ricordano in ogni istante – quella frase, ‘L’uomo non è buono ma è una bestia’, che Grosz s’inventò come titolo per una mostra ad Hannover, proprio in quegli anni; come c’è il sentore delle multe che pagò per ‘diffusione di oscenità’, per non dire delle oltre 200 opere che i nazisti gli distrussero nell’operazione di Arte Degenerata.
C’è la parola ‘Gewalt’, che sappiamo, in tedesco, ha il duplice significato di ‘autorità’ e allo stesso tempo di ‘violenza’.
C’è la regola sociale che comprime la coscienza facendo assomigliare gli esseri umani a ridicoli mammiferi in frac e che prima o poi, comprimi e comprimi ancora, finisce per liberare gli istinti più atroci (Arbeit macht frei, appunto).
No, altroché oscenità.

 

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