mercoledì 12 dicembre 2012

Pezzi di luna per Santa Lucia

«Posso uscire con Gigi?» chiesi.
Le luci correvano veloci e si arrampicavano su per il Monte, quel giorno. Nel carruggio, dei banchi stretti contro i portoni vendevano i dolci gommosi e i croccanti. Tutta la gente del paese era scesa giù a festeggiare. Era la festa di Santa Lucia, che fino al giorno prima, pensavo essere la santa che porta i doni con Gesù bambino. Ma poi Gigi mi ha detto che è falso, che in realtà Santa Lucia è un'invenzione degli adulti.
«Va bene», disse la sorella.
Neppure feci in tempo a mettermi il loden che Gigi mi afferrò un braccio e mi spinse fuori. A testa bassa perforava la folla che riempiva il carruggio. C’erano i bambini sulle bici, le ragazze  che ridevano, gli uomini che fumavano la pipa, lo zampognaro che soffiava fortissimo nel suo strumento al centro della via; ma Gigi non ci badava, si vedeva che teneva una direzione, come avesse in mente una meta precisa.
«Dove andiamo?» chiesi.
«Ti faccio vedere una cosa».
A metà del carruggio, svoltammo in un passaggio stretto. Lì non c'era più nessuno, era buio e con l’odore della pipì di gatto attaccata ai muri, ma in fondo si vedeva una porta illuminata. Gigi mi trascinò dentro. Era una sala dalle pareti e il soffitto bianchi, con dei piccoli fari puntati che disseminavano la luce dappertutto. Da terra si alzavano dei piedistalli di ferro. C’erano degli uomini e delle donne che guardavano le cose poste sui piedistalli. Biomorfismo vegetale, sentii sussurrare.
Mi avvicinai al piedistallo centrale. Sollevandomi in punta di piedi, scrutai l'oggetto che c'era sopra. Era grigio, screziato. Con delle sporgenze ondulate e un buco, alla base. Ci girai attorno. Lo toccai. F-i-g-u-r-a-d-i-s-t-e-s-a, lessi sulla targhetta. Era levigato come un osso.
Gigi apparve alle mie spalle.
«Cosa sono?» chiesi. Non avevo mai visto niente così infatti.
«Dei pezzi di luna», spiegò. «Si sono staccati quando gli americani sono atterrati nello spazio. Sono precipitati in mare ma i corsari li hanno ripescati».
«Ne vorrei uno», dissi.
Gigi afferrò una forma e se la infilò sotto il maglione.
Corremmo a perdifiato nei vicoli dietro il carruggio, un incastro di stradine molto strette con gli zerbini sulla porta e le pentole in fila contro i davanzali. Un portone coi campanelli arrugginiti si sprangò dietro di noi e c'inghiottì in un androne che sapeva di muffa. Le mani di Gigi mi appiccicarono i capelli alla testa, mi aprirono il primo bottone del loden. La sua lingua spugnosa mi travasò in bocca della saliva. Io non vivo sott'acqua, pensai.
[da Le descrizioni]
 

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