«Posso uscire con Gigi?» chiesi.
Le luci correvano veloci e si
arrampicavano su per il Monte, quel giorno. Nel carruggio, dei banchi stretti
contro i portoni vendevano i dolci gommosi e i croccanti. Tutta la gente del
paese era scesa giù a festeggiare. Era la festa di Santa Lucia, che fino al
giorno prima, pensavo essere la santa che porta i doni con Gesù bambino. Ma poi
Gigi mi ha detto che è falso, che in realtà Santa Lucia è un'invenzione degli
adulti.
«Va bene», disse la sorella.
Neppure feci in tempo a mettermi il
loden che Gigi mi afferrò un braccio e mi spinse fuori. A testa bassa perforava
la folla che riempiva il carruggio. C’erano i bambini sulle bici, le
ragazze che ridevano, gli uomini che
fumavano la pipa, lo zampognaro che soffiava fortissimo nel suo strumento al
centro della via; ma Gigi non ci badava, si vedeva che teneva una direzione,
come avesse in mente una meta precisa.
«Dove andiamo?» chiesi.
«Ti faccio vedere una cosa».
A metà del carruggio, svoltammo in un
passaggio stretto. Lì non c'era più nessuno, era buio e con l’odore della pipì
di gatto attaccata ai muri, ma in fondo si vedeva una porta illuminata. Gigi mi
trascinò dentro. Era una sala dalle pareti e il soffitto bianchi, con dei
piccoli fari puntati che disseminavano la luce dappertutto. Da terra si
alzavano dei piedistalli di ferro. C’erano degli uomini e delle donne che guardavano
le cose poste sui piedistalli. Biomorfismo vegetale, sentii sussurrare.
Mi avvicinai al piedistallo centrale.
Sollevandomi in punta di piedi, scrutai l'oggetto che c'era sopra. Era grigio,
screziato. Con delle sporgenze ondulate e un buco, alla base. Ci girai attorno.
Lo toccai. F-i-g-u-r-a-d-i-s-t-e-s-a, lessi sulla targhetta. Era levigato come
un osso.
Gigi apparve alle mie spalle.
«Cosa sono?» chiesi. Non avevo mai visto
niente così infatti.
«Dei pezzi di luna», spiegò. «Si sono
staccati quando gli americani sono atterrati nello spazio. Sono precipitati in
mare ma i corsari li hanno ripescati».
«Ne vorrei uno», dissi.
Gigi afferrò una forma e se la infilò
sotto il maglione.
Corremmo a perdifiato nei vicoli dietro
il carruggio, un incastro di stradine molto strette con gli zerbini sulla porta
e le pentole in fila contro i davanzali. Un portone coi campanelli arrugginiti
si sprangò dietro di noi e c'inghiottì in un androne che sapeva di muffa. Le
mani di Gigi mi appiccicarono i capelli alla testa, mi aprirono il primo
bottone del loden. La sua lingua spugnosa mi travasò in bocca della saliva. Io
non vivo sott'acqua, pensai.
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