martedì 11 dicembre 2012

Descrizione di ‘Imitationofdeath’ – drammaturgia di Ricci/Forte – Teatri di Vita – Bologna – dicembre 2012

C’è il nastro giallonero, segnale di area pericolosa, che separa il palco dal pubblico, come a dirci: «Statevene lontano! Qui sopra si agitano dei pazzi!».
E sul palco ci sono sedici corpi spogliati che soffiano aria dentro dei sacchetti sul genere di quelli in dotazione sull’aereo, per raccogliere il vomito, sì… Il sacchetto salta per aria e il corpo senza respiro si contrae per terra, è scosso da convulsioni che sono più comiche che dolorose, in verità.
Ci sono gli stessi corpi che calzano scarpe foderate del medesimo nastro adesivo giallonero, che arrancando sulla loro stampella personale, si rimettono in piedi, ma le calzature hanno improbabili tacchi a trampolo, così scivolano di continuo, finché all’improvviso, oplà! ecco che si lanciano in una Mazurka sfrenata, a copie!
C’è una ragazza che racconta tutti i pompini che ha fatto nella sua giovane vita per ciascuno indicando il tempo preciso che ha impiegato a ottenere il mirabile risultato.
Poi il nastro giallonero è reciso e i corpi si presentano al cospetto del pubblico, tutti per mano, con orgoglio a mostrar gli organi genitali, e poi di nuovo in coppia, a stuzzicarsi i capezzoli, prendersi al guinzaglio per il pene, tutti con maschera individuale in dotazione.
Ogni tanto c’è l’annuncio di una fantomatica nomination agli Oscar, The winner is…
E c’è una ragazza che come in un talkshow Mediaset pone dei dolorosi perché sulla sua vita agli ‘amici’ che le fanno da pubblico, e che a turno corrono da lei, per spiattellarle nei denti una crudele risposta.
C’è l’hip hop che diventa tecno che diventa lirica che diventa musica da balera.
C’è esibizione di sé, vergogna, empatia, bisogno dell’altro, strafottenza, burla, presa per i fondelli, vita vera (nascosta) e vita finta (esibita).
Ci sono gli oggetti, i superflui patetici demenziali oggetti del desiderio di ciascuno! il bagaglio personale che ogni performer rovescia per terra, poi ci va a rovistare in mezzo, perché lì è quel che si è costruito, tutto quel che ama. «È la mia vita», ci dice mostrandoceli ad uno ad uno raggiante come un bambino.
E c’è la frase che qualcuno pronuncia, mentre trascina uno straccio a terra, tra segnali stradali e carrelli per la pulizia, che la sapevamo, ma la ripetiamo, non si sa mai: «È solo attraverso l’assenza di vita che si rappresenta la vita».
E infatti.

 

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