Le profumerie aprono in gran numero, nella città di
P., perché agli abitanti profumarsi piace. Esco dalla stazione, imbocco via
Garibaldi e ne supero una, due, tre, quattro perfino, di profumerie, a pochi
metri l’una dall’altra, e tutte che in vetrina esibiscono la famosa fragranza
‘Acqua di P.’, versione Colonia classica, Colonia assoluta, Iris nobile, Iris
sublime, variante shower gel al Bergamotto di Calabria, body lotion Mirto di
Panarea, in cofanetto natalizio candela aromatizzata e diffusore per l’ambiente
‘Acqua di P.’… Salgo sull’autobus e un’onda di agrume speziato mi sconquassa i
sensi, poi un’altra, ventate variabili, a seconda di chi sale, dell’ingombro
che occupa. A casa della sorella entro in bagno ed eccolo lì, sulla consolle,
il flacone di Colonia intensa prestige marchiato‘Acqua di P.’ E di fianco,
Prada infusion, Laura Biagiotti Roma, La Perla j’aime… La sorella spalanca la
porta e penso che morirò per asfissia. «Qui non si respira», dico scansando
l’aria. Lei mi guarda. Si sorprende. «È La Perla», dice, «non ti piace?». In
corridoio incrocio mio cognato, Tom Ford Noir. «E la stazione», dico mangiando una
fetta di prosciutto che, giuro, sa di Iris nobile, «quand’è che la finiscono?».
«Ah, non si sa», dice la sorella, «non ci sono soldi». I lavori sono bloccati,
da anni, ormai. «Non c’è una lira», dice mio cognato. Mentre succhio un
cannoncino alla crema che sa di gelsomino alcolico, mi viene da pensare che tra
i due fenomeni, il clamoroso buco di bilancio, intendo, le ruberie della classe
dirigente, e quel profumo che intasa l’anima, ci sia una relazione.
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