domenica 24 febbraio 2013

Descrizione della mostra dell’artista Jan Bas Ader – Tra due mondi - Villa delle Rose, Bologna – fino a marzo 2013

Westkapelle, Holland, 1971, foto a colori
C’è la storiella che si racconta, di un Jan Bas Ader bambino che per l’intero semestre, a scuola, componeva i suoi disegni su di un unico foglio, cancellando poi le figure, per far posto alle nuove, a loro volta cancellate così che il foglio alla fine sempre vuoto era. Come dire: «Quel che m’interessa è dare forma alla mia idea. Quando l’idea sulle sue gambe cammina, chi se ne frega della forma».
Chi se ne frega dell’arte? dice l’arte e tutto quel che ha fatto nella sua breve vita Jan Bas Ader. Questo ragazzo è il più grande artista concettuale al quale l’Olanda abbia dato i natali e della sua arte, unico incontrastato protagonista.
C’è un video, per esempio, nel quale Jan Bas Ader sta in piedi, le braccia parallele, al centro di una strada lastricata che attraversa un parco, e sullo sfondo vediamo il faro di Westkapelle, quello del celebre dipinto di Piet Mondrian (Westkapelle, Holland, 1971). Jan cerca di rimanere dritto, ma poi solleva un piede; finisce che perde l’equilibrio, ruzzola a terra. Altroché eliminare la direttrice diagonale, perpetua ossessione di Mondrian. Altroché scacciare ‘il predominio del tragico nella vita attraverso l’arte’. Guardare il tragico come si manifesta nella vita, semmai, dice Jan, con effetti che, non crediate, possono perfino essere esilaranti.
C’è Jan Bas Ader su una roccia, e dietro di lui il mare in tempesta, Jan che mostra il cartello ‘Fire’, una specie di Monaco in riva al mare alla C.D. Friedrich ma in una versione allarmistica che fa sorridere (Untitled – The elements, 1971). E viene in mente la definizione che Jean Baudrillard diede dell’ironia, quando disse che è ‘unica forma spirituale del mondo moderno’. Ha ragione. Ci si ricorda della fierezza con la quale, oltre quattro secoli prima, Albrecht Dürer si era autoritratto (Melancholia I, 1514) e bene si capisce il destino sfigato dell’intellettuale oggi. Platonismo addio. Ingegnarsi su come stare a galla palleggiando i propri pensieri.
Untitled, The elements, 1971, foto a colori
C’è un uomo, sempre lui, Jan, che di una scatola in cartone ha fatto la sua casa. L’ha piazzata nel mezzo di un bosco. Ci sta seduto dentro, si prepara il tè delle cinque. Poi la scatola si chiude e l’uomo scompare. C’è una scatola nel bosco. Apparire/scomparire (Untitled – Tea party, 1972).
Lo stesso uomo piange, in un video, immobile; la telecamera spietata inquadra la faccia umida di lacrime, le smorfie di dolore che la contraggono. Eppure non ci sono lamenti, il video è muto. Questo è il mio atroce dolore, e lì niente c’è di concettuale (I’m too sad to tell you, 1971).
E niente c’è di concettuale nella scritta gigante che campeggia sul muro della galleria, cancellata per metà, per un attacco di dignità, forse; ‘Please don’t leave me’, dice. Sto da cani, hai capito? Le mie parole sono lì che te lo dicono. Le parole sono tutto quel che ho per dirtelo.
Poi c’è l’uomo-che-cade. Dal tetto di una house americana, dove se ne stava acrobaticamente seduto su una sedia. Da una bici che devia, lungo una strada di Amsterdam, e va a finire giù dritta in un canale. Dal ramo di un albero, al quale l’uomo si è aggrappato, per lasciarsi andare nell’acqua di sotto (Fall I, Fall II, Broken fall - organic, 1975). E lì c’immaginiamo Mack Sennett, che una sera se ne vada a cena con Samuel Beckett, per esempio. Voglio dire, mica c’interessa chi dei due pagherà il conto, no di certo.
C’è che la vita degli uomini è costellata di micro/macro naufragi. A bordo di un cargo che affondò al largo della California, Jan Bas Ader dall’Europa raggiunse l’America, che aveva scelto come patria d’elezione. E su una barca a vela di pochi metri affondata nell’oceano Atlantico, s’interruppe la sua vita mentre dall’America tentava il ritorno in Europa. Molto romantico, direte voi, ma quell’impresa folle, perché? Per portare a compimento una performance che s’intitolava, pensate un po’, In search of the miraculous. No, pensateci. Era il 1975.
E infine dico: come si fa a non adorare un ragazzo che il giorno delle nozze, combinate con la gentile consorte in quel di Las Vegas, si presenta all’altare con tanto di stampelle?
 
 
                                        
 

 

 

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