venerdì 18 gennaio 2013

So it goes #38


«Hey little girl is it good to you», canto, «can you do all the things that I can do ooh...». Bruce Springsteen, io lo detesto. Solo in due circostanze canto Bruce Springsteen: quando mi assale un attacco di sfrenata ironia oppure per abissale masochismo. Masochismo, in questo caso: il suo nome è Pier Luigi Bersani. «Ho scelto la canzone di accompagnamento alla campagna elettorale del Pd», dice Bersani. E va bene. «È una canzone molto bella. Di Gianna Nannini», dice. E va bene, anche sotto un profilo estetico, intendo. «S’intitola ‘Inno’», dice Bersani. […] Come? Inno?! Tipo una roba patriottica? S'intende la celebrazione a qualcosa? Una dedica solenne? Ai politici? Al popolo che è sovrano? Alla democrazia televisiva? Agli ultimi anni di straordinaria fioritura culturale? Che noi siamo, per dire, i figli dei fiori della nazione? Bersani, darling, ma chi è il genio della comunicazione del Pd? Ma l’hai capito che gli italiani, il parlamento, emiciclo ligneo compreso, lo deporterebbero a spalar letame in Africa? Che la parola ‘politica’, in questo preciso momento storico, sa per tutti più di sterco che di salame piacentino? Bersani, ascoltami, per piacere: questa è la voce di un’elettrice tua conterranea che alle primarie ha votato Matteo Renzi: ripensaci. Scegli un’altra canzone, un titolo qualsiasi ma più consono alla furia cieca, al desiderio di rivolta sociale. «Bersani», canto, «I got a bad desire».

 
So so so.

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