lunedì 14 gennaio 2013

Descrizione della regia multimediale di La Fura del Baus alla Trilogia romana di Ottorino Respighi - direttore Juraj Valčuha – orchestra del Teatro Comunale di Bologna - Teatro Manzoni – Bologna 12 gennaio 2013

C’è un sipario-schermo che separa gli orchestrali dal pubblico che è come una gigantesca retina oculare; assorbe immagini trasparenti, direttamente le filtra sul corpo dei musicisti, e sui loro corpi quelle immagini si attaccano, per poi miseramente andare in frantumi. Ogni tanto il sipario si alza e la storia sloggia sullo schermo applicato al fondo del palcoscenico; si allontana da noi che non siamo più nell’illusione fatata, più così partecipi.
Ci sono i tre elementi: fuoco (Feste romane), acqua (Le fontane di Roma) aria (I pini di Roma).
Dentro un rotolante cerchio infiammato si muove l’uomo di Leonardo (Circenses) che di rinascimentale niente ha più però, poveretto, perché le fiamme gli bruciano le chiappe, e la misura di tutte le cose sta da un’altra parte… Il fuoco avvolge perfino gli ignari musicisti. E dal fuoco è corretto che si cominci a raccontare, dalla sua dinamica distruzione.
E ci sono i pellegrini, le sagome attaccate allo schermo, che marciano verso Roma (Giubileo), volanti e aeree come certe figurine di Magritte, ma non facciamo paragoni.
Ci sono le strade, i palazzi della capitale, i muri sui quali passano spezzoni di film, il grande cinema, la vita, la morte, in tutte le epoche della storia, voci, urla, musiche, teatrini scandalosi, lo strazio, poi un personaggio si stacca dalla parete e ce lo ritroviamo in strada, in carne ed ossa, lì, che ci prende in giro, il marrano, fa il saltimbanco. E sì, lo sappiamo, che ogni pietra è storia e fare la storia significa calpestar pietre.
Gocce d’acqua piovana picchiettano la superficie a specchio della vasca ne La fontana di Valle Giulia all’alba e delle altre celebri fontane della Roma barocca, e le statue degli eroi si tramutano in aerobici trapezisti che di mitologico non han più niente; si divertono. Viene da pensare che l’acqua porti in sé qualcosa di festoso, il gioco dell’infanzia, la purezza (se la purezza esiste), uno slancio di spensierata sincerità. Quando si entra nell'età della vecchiaia, bisognerebbe ricordarsene, dell’acqua.
E ci sono due ragazzi, nudi, in fuga tra I pini di Villa Borghese. Si cercano, in realtà: lui insegue lei, le dà la caccia fino a un dirupo ed ecco che, in bilico sul precipizio, le loro braccia si trasformano in rami, i piedi in radici d’albero.
Ci sono file di alberi, nell’ultimo movimento, I pini della Via Appia, che marciano lungo l’antica strada come i soldati di un esercito vittorioso e tronfio, un bosco in movimento (alla Macbeth) che sbarca in città, tra trombe e fanfare. E l’aria diventa satura, come sempre quando si respira un vento di guerra.
No, preferisco vivere, si pensa allora.

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