C’è un sipario-schermo che separa
gli orchestrali dal pubblico che è come una gigantesca retina oculare; assorbe immagini
trasparenti, direttamente le filtra sul corpo dei musicisti, e sui loro corpi
quelle immagini si attaccano, per poi miseramente andare in frantumi. Ogni tanto
il sipario si alza e la storia sloggia sullo schermo applicato al fondo del
palcoscenico; si allontana da noi che non siamo più nell’illusione fatata,
più così partecipi.
Ci sono i tre elementi: fuoco (Feste romane), acqua (Le fontane di Roma) aria (I pini di Roma).
Dentro un rotolante cerchio
infiammato si muove l’uomo di Leonardo (Circenses)
che di rinascimentale niente ha più però, poveretto, perché le fiamme gli bruciano
le chiappe, e la misura di tutte le cose sta da un’altra parte… Il fuoco avvolge
perfino gli ignari musicisti. E dal fuoco è corretto che si cominci a
raccontare, dalla sua dinamica distruzione.
E ci sono i pellegrini, le
sagome attaccate allo schermo, che marciano verso Roma (Giubileo), volanti e aeree come certe figurine di Magritte, ma non
facciamo paragoni.
Ci sono le strade, i palazzi
della capitale, i muri sui quali passano spezzoni di film, il grande cinema, la
vita, la morte, in tutte le epoche della storia, voci, urla, musiche, teatrini
scandalosi, lo strazio, poi un personaggio si stacca dalla parete e ce lo ritroviamo
in strada, in carne ed ossa, lì, che ci prende in giro, il marrano, fa il
saltimbanco. E sì, lo sappiamo, che ogni pietra è storia e fare la storia
significa calpestar pietre.
Gocce d’acqua piovana
picchiettano la superficie a specchio della vasca ne La fontana di Valle Giulia all’alba e delle altre celebri fontane
della Roma barocca, e le statue degli eroi si tramutano in aerobici trapezisti
che di mitologico non han più niente; si divertono. Viene da pensare che l’acqua
porti in sé qualcosa di festoso, il gioco dell’infanzia, la purezza (se la
purezza esiste), uno slancio di spensierata sincerità. Quando si entra nell'età
della vecchiaia, bisognerebbe ricordarsene, dell’acqua.
E ci sono due ragazzi, nudi, in
fuga tra I pini di Villa Borghese. Si
cercano, in realtà: lui insegue lei, le dà la caccia fino a un dirupo ed ecco
che, in bilico sul precipizio, le loro braccia si trasformano in rami, i piedi
in radici d’albero.
Ci sono file di alberi, nell’ultimo
movimento, I pini della Via Appia, che
marciano lungo l’antica strada come i soldati di un esercito vittorioso e tronfio, un
bosco in movimento (alla Macbeth) che sbarca in città, tra trombe e fanfare. E l’aria
diventa satura, come sempre quando si respira un vento di guerra.
No, preferisco vivere, si pensa allora.
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