«Faccetta ne-era», canto
spolverando sulla libreria i romanzi nel reparto Americana, «bell’abissi-ina…». «Cioè?» dice
Max. «…Aspetta e spera che già l’o-ra s’avvici-ina…», canto. «Sì?». M’interrompo:
bisogna che gli spieghi. «Mia madre sempre la cantava mentre stirava le camicie
di mio padre», dico. «Mica perché fosse fascista. No, perché era la canzone
della sua infanzia… Mio padre un giorno le disse Puoi cantare qualcos’altro,
per piacere? E da allora, non la cantò più. E mia madre non cantò più. Perché quella
era l’unica canzone che lei per intero conosceva». «E tuo padre, perché non le
ha insegnato ‘Bella ciao’?» dice Max. «Di fascismo e partigiani», dico, «mio padre
non parlava». Dopo la faccenda di El Alamein e i cinque anni da prigioniero in
Libia, mio padre, di guerra, non parlava. «Ma prova a pensare», dico spolverando
‘Foglie morte’, «come se nella tua infanzia, non la canzone di Atlas Ufo Robot
ci fosse, bensì solo e unicamente la musica di ‘Giovinezza’. Prova a pensare».
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