CERCASI professore d’albanese parlato per ore serali. Rivolgersi, ecc., ecc.
Ore serali…: era il posto fatto per me. C’era anche la condizione
dell’albanese: ma io sono sempre stato d’avviso che per insegnare i principii
di una lingua a chi non la sa affatto, basta impararli di mano in mano che si
insegnano. Così avrei potuto fare in quell’occasione. Del resto non ero del
tutto digiuno di lingua albanese. Sapevo che gli albanesi si chiamano
skipetari. Non basta: un mio amico di Portocannone (Campobasso) che come ognuno
sa è terra albanese inghiottita da secoli dal vorace imperialismo italiano, mi
aveva spesso parlato della sua lingua madre; non avevo più sottomano
quell’amico, ma ricordavo che in albanese ferro di cavallo si diceva paktòj, e al plurale paktòjt. Avrei poi, se combinavo
l’affare, comprata una grammatica albanese: per intanto le mie cognizioni mi
parvero sufficienti per presentarmi al luogo indicato.
Era una piccola ‘Scuola privata
di Commercio’. Il direttore era un abruzzese magretto e malinconico, di poche
parole. Mi disse rapidamente, senza guardarmi:
- Albania, grande avvenire. Un
commerciante deve sapere un po’ d’albanese.
- Certo – feci io – gli skipetari
in generale non sanno l’italiano.
- Albanese pratico, intendiamoci.
In pochissimo tempo, uno deve poter scendere in Albania, chiedere ciò che gli
occorre senza far ridere.
- Già – colsi io la palla al
balzo – se va dal maniscalco perché gli si è sferrato un cavallo, sapere almeno
che un ferro solo si dice paktòj e
più d’uno paktòjt.
Ebbi lì per lì paura d’essere
stato troppo cretino con quell’uscita: che invece ebbe ottimo effetto perché si
pattuì subito.
[Massimo Bontempelli, La vita
intensa, op.cit., pgg.86-87]
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