martedì 22 gennaio 2013

Skipetari

CERCASI professore d’albanese parlato per ore serali. Rivolgersi, ecc., ecc.
Ore serali…: era il posto fatto per me. C’era anche la condizione dell’albanese: ma io sono sempre stato d’avviso che per insegnare i principii di una lingua a chi non la sa affatto, basta impararli di mano in mano che si insegnano. Così avrei potuto fare in quell’occasione. Del resto non ero del tutto digiuno di lingua albanese. Sapevo che gli albanesi si chiamano skipetari. Non basta: un mio amico di Portocannone (Campobasso) che come ognuno sa è terra albanese inghiottita da secoli dal vorace imperialismo italiano, mi aveva spesso parlato della sua lingua madre; non avevo più sottomano quell’amico, ma ricordavo che in albanese ferro di cavallo si diceva paktòj, e al plurale paktòjt. Avrei poi, se combinavo l’affare, comprata una grammatica albanese: per intanto le mie cognizioni mi parvero sufficienti per presentarmi al luogo indicato.
Era una piccola ‘Scuola privata di Commercio’. Il direttore era un abruzzese magretto e malinconico, di poche parole. Mi disse rapidamente, senza guardarmi:
- Albania, grande avvenire. Un commerciante deve sapere un po’ d’albanese.
- Certo – feci io – gli skipetari in generale non sanno l’italiano.
- Albanese pratico, intendiamoci. In pochissimo tempo, uno deve poter scendere in Albania, chiedere ciò che gli occorre senza far ridere.
- Già – colsi io la palla al balzo – se va dal maniscalco perché gli si è sferrato un cavallo, sapere almeno che un ferro solo si dice paktòj e più d’uno paktòjt.
Ebbi lì per lì paura d’essere stato troppo cretino con quell’uscita: che invece ebbe ottimo effetto perché si pattuì subito.
[Massimo Bontempelli, La vita intensa, op.cit., pgg.86-87]

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