‘Al
parco divertimenti di Seaworld a Orlando, Florida, un'orca ha ucciso la sua
addestratrice. L'ha afferrata tra le fauci, spinta sul fondo della piscina e
trascinata su, attraverso la vasca, davanti al pubblico presente nell'emiciclo
del centro sportivo, inerte e inorridito’. La notizia è solo un trafiletto sul
giornale che leggo in un bar di via dell'Indipendenza, questa mattina.
L'addestratrice sta spiegando al
pubblico come si svolgerà l'esibizione dell'orca, uno spettacolo intitolato 'A
cena con Tilly'. L'addestratrice lavorava con quell'orca da dieci anni. Un etologo
esperto di cetacei spiega che Tilly non voleva uccidere: solo giocare. Ma
l'habitat naturale delle orche non è una piscina coperta, bensì l'oceano. Per
fare un esempio, dice l'etologo: sarebbe come rinchiudere un uomo in una
stanzetta di pochi metri, e dirgli che mai più potrà uscire di lì. Un giorno entri
per portargli un caffè, dice, e quello ti cava gli occhi.
Chiudo il giornale. Pago il caffè.
Mi scappa da ridere.
Il barista mi guarda.
«Tenersi allegri fa bene», dice.
«Allunga la vita».
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