martedì 24 luglio 2012

Lasagnàtt vàird_ green lasagna

Un sabato mi telefonò Clizia.
«A questo giornalista gastronomico interessa approfondire l'origine e la storia della lasagna. È una personalità. Membro dell'Antica Confraternita degli Amici della Sfoglia. Socio dell'Accademia della Cucina Tradizionale. Presidente del Circolo Nazionale della Pasta Ripiena. E inviato speciale di una famosa rivista internazionale di haute cuisine».
«Haute che?».
«Haute cuisine! Ma non lo parli, il francese, bambina? Fareste bene a spegnerla ogni tanto, voi giovani, questa MTV. Guardarvi qualche buon documentario. Ieri sera, per esempio, mi sono vista un interessante reportage sui tesori del Brenta».
«Io non sono giovane, Clizia. Non guardo MTV».
«Mika: ti prego di non deludermi».
Poi disse che in quei giorni, al suo bed and breakfast ospitava una coppia di finlandesi. Che la sera precedente si erano visti il documentario 'Vesuvio, un gigante addormentato' per ben tre volte di seguito. Non capivano cose spinge la gente a scegliere di abitare proprio ai piedi di un vulcano.
«Il precipizio», le dissi, «il precipizio».

 
Era barbuto, questo giornalista, peluria color paglia, l'incrocio tra un porco e un pony. Aveva uno strano modo di stringere la lingua tra i denti. Camminammo in direzione della Gastronomia dei Ricchi.
Si tratta del negozio di alimentari più elegante della città. Impossibile rimanere indifferente, passandoci davanti. Una micca di pane può diventare qualcosa di sfarzoso. La Famiglia dei Ricchi ne è proprietaria da quattro generazioni. Un tempo gli apparteneva l'intero palazzo, che occupa l'isolato, lo stesso del TdM, a lato di piazza Maggiore. Mr Pig e la Famiglia dei Ricchi governano questa fetta della città.
Il fondatore abitava un modesto appartamento sopra la bottega originale, in via Pescherie Vecchie. Era un panettiere d'ingegno, un uomo generoso, si dice. L'ultimo nipote è suo omonimo. È un ragazzo timido, che guarda alle spese, con la paura di non essere altezza. Dall'alto della parete, c'è il ritratto del fondatore a tenerlo d'occhio.
Nella vetrina della bottega più sontuosa, quella in via degli Orefici, i cibi sono esposti su vassoi argentati. Etichette scritte a mano; nel dialetto della città e in inglese. Lasagnàtt vairdì, green lasagna, lesse appunto il giornalista. Estrasse dal taschino taccuino e penna.
«Lei conosce Rirkrit Tiravanija?» gli chiesi.
Lui dilatò le narici, mordicchiandosi la lingua.



Rirkit Tiravanija, performance, New York, 2002

«Si tratta di un artista tailandese fautore di una nuova estetica legata al cibo»,  spiegai. «Crea dei corner che riproducono l'interno di una cucina. Lo spettatore è trasformato in ospite. L'artista cucina e gli serve il cibo che ha preparato».
«Vorrei sapere qualcosa sulla storia delle lasagne», m'interruppe. «Mi racconti come furono inventate».
«...Oppure Ellen Gallagher. Utilizza immagini-collage riferite a stereotipi razziali. Attori con la faccia dipinta di nero e labbra ingrossate. È un modo per affrontare la questione del pregiudizio e della xenofobia. Lei ritiene che l'arte debba aprire la strada all'integrazione o al dissenso? » domandai.

 


Ellen Gallagher, Preserve, New York, 2002
«Come, scusi?».
«…Secondo lei è più etico il gesto dell'artista che coinvolge l'umanità facendola sentire unita o quello di colui che infrange con un sasso la vetrina di una banca?».
Il giornalista mi guardava impietrito.
«Ho chiesto alla signora Clizia una guida gastronomica preparata sulla tradizione della lasagna», sibilò.
«Lei davvero crede importante, per il destino dell'umanità, aprire un dibattito sul concetto dell'alternanza di besciamella-ragù-pasta? Che genere di spettacolo crede che l'Occidente stia offrendo di sé al resto del mondo?».
Lui tamburellò la penna sul taccuino.
«…Be', glielo dico io. Sta offrendo di sé uno spettacolo miserevole. Lo sa che una sedia di rattan dell'Ikea, venduta in Europa a cinquantacinque euro, frutta all’operaia vietnamita che l'ha intrecciata un guadagno medio di due dollari al giorno? Lei ci lavorerebbe, seduto a terra, in uno stanzone senza luce, tra cumuli di paglia e cartoni da imballo? Lo so, la fuga dal sistema non è neppure un concetto anarchico, perché l'anarchismo non lo contempla neppure, il sistema… Lei conosce August Strindberg, lo scrittore svedese?… Il mio programma è eliminare la classe superiore, diceva Strindberg, poi si vedrà. E in seguito, col sospetto che gli operai, disprezzando i contadini, potessero trasformarsi in classe superiore State attenti, scrive Strindberg agli amici anarco-socialisti, a non corteggiare una futura massa di integrati, anziché uno stormo di rivoluzionari!».
Il giornalista incrociò le braccia.
[dalla Guida gastronomica]

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