Un sabato mi telefonò Clizia.
«A questo giornalista gastronomico interessa
approfondire l'origine e la storia della lasagna. È una personalità. Membro
dell'Antica Confraternita degli Amici della Sfoglia. Socio dell'Accademia della
Cucina Tradizionale. Presidente del Circolo Nazionale della Pasta Ripiena. E
inviato speciale di una famosa rivista internazionale di haute cuisine».
«Haute che?».
«Haute cuisine!
Ma non lo parli, il francese, bambina? Fareste bene a spegnerla ogni tanto, voi
giovani, questa MTV. Guardarvi qualche buon documentario. Ieri sera, per
esempio, mi sono vista un interessante reportage sui tesori del Brenta».
«Io non sono giovane, Clizia. Non guardo MTV».
«Mika: ti prego di non deludermi».
Poi disse che in quei giorni, al suo bed and breakfast
ospitava una coppia di finlandesi. Che la sera precedente si erano visti il
documentario 'Vesuvio, un gigante addormentato' per ben tre volte di seguito.
Non capivano cose spinge la gente a scegliere di abitare proprio ai piedi di un
vulcano.
«Il precipizio», le dissi, «il precipizio».
Era barbuto, questo giornalista, peluria color paglia,
l'incrocio tra un porco e un pony. Aveva uno strano modo di stringere la lingua
tra i denti. Camminammo in direzione della Gastronomia dei Ricchi.
Si tratta del negozio di alimentari più elegante della
città. Impossibile rimanere indifferente, passandoci davanti. Una micca di pane
può diventare qualcosa di sfarzoso. La Famiglia dei Ricchi ne è proprietaria da
quattro generazioni. Un tempo gli apparteneva l'intero palazzo, che occupa
l'isolato, lo stesso del TdM, a lato di piazza Maggiore. Mr Pig e la Famiglia
dei Ricchi governano questa fetta della città.
Il fondatore abitava un modesto appartamento sopra la
bottega originale, in via Pescherie Vecchie. Era un panettiere d'ingegno, un
uomo generoso, si dice. L'ultimo nipote è suo omonimo. È un ragazzo timido, che
guarda alle spese, con la paura di non essere altezza. Dall'alto della parete,
c'è il ritratto del fondatore a tenerlo d'occhio.
Nella vetrina della bottega più sontuosa, quella in
via degli Orefici, i cibi sono esposti su vassoi argentati. Etichette scritte a
mano; nel dialetto della città e in inglese. Lasagnàtt vairdì, green lasagna, lesse appunto il
giornalista. Estrasse dal taschino taccuino e penna.
«Lei conosce Rirkrit Tiravanija?» gli chiesi.
Lui dilatò le narici, mordicchiandosi la lingua.
Rirkit Tiravanija, performance, New York, 2002 |
«Si tratta di un artista tailandese fautore di una
nuova estetica legata al cibo», spiegai.
«Crea dei corner che riproducono l'interno di una cucina. Lo spettatore è
trasformato in ospite. L'artista cucina e gli serve il cibo che ha preparato».
«Vorrei sapere qualcosa sulla storia delle lasagne»,
m'interruppe. «Mi racconti come furono inventate».
«...Oppure Ellen Gallagher. Utilizza immagini-collage
riferite a stereotipi razziali. Attori con la faccia dipinta di nero e labbra
ingrossate. È un modo per affrontare la questione del pregiudizio e della
xenofobia. Lei ritiene che l'arte debba aprire la strada all'integrazione o al
dissenso? » domandai.
«Come, scusi?».
«…Secondo lei è più etico il gesto dell'artista che
coinvolge l'umanità facendola sentire unita o quello di colui che infrange con
un sasso la vetrina di una banca?».
Il giornalista mi guardava impietrito.
«Ho chiesto alla signora Clizia una guida gastronomica
preparata sulla tradizione della
lasagna», sibilò.
«Lei davvero crede importante, per il destino
dell'umanità, aprire un dibattito sul concetto dell'alternanza di
besciamella-ragù-pasta? Che genere di spettacolo crede che l'Occidente stia
offrendo di sé al resto del mondo?».
Lui tamburellò la penna sul taccuino.
«…Be', glielo dico io. Sta offrendo di sé uno
spettacolo miserevole. Lo sa che una sedia di rattan dell'Ikea, venduta in
Europa a cinquantacinque euro, frutta all’operaia vietnamita che l'ha intrecciata
un guadagno medio di due dollari al giorno? Lei ci lavorerebbe, seduto a terra,
in uno stanzone senza luce, tra cumuli di paglia e cartoni da imballo? Lo so,
la fuga dal sistema non è neppure un concetto anarchico, perché l'anarchismo
non lo contempla neppure, il sistema… Lei conosce August Strindberg, lo
scrittore svedese?… Il mio programma è eliminare la classe superiore, diceva
Strindberg, poi si vedrà. E in seguito, col sospetto che gli operai,
disprezzando i contadini, potessero trasformarsi in classe superiore State
attenti, scrive Strindberg agli amici anarco-socialisti, a non corteggiare una
futura massa di integrati, anziché uno stormo di rivoluzionari!».
Il giornalista incrociò le braccia.
[dalla Guida gastronomica]
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