Regalai a mia madre una coroncina da rosario. Ero
andata in gita scolastica al santuario della Madonna di Loreto, quell'anno di
trent'anni fa. Quel rosario fosforescente, in vendita nel negozio di souvenir,
subito colpì la mia immaginazione. Era leggerissimo. Aveva qualcosa di
immateriale. Un rosario divino, avevo pensato. Costava duecento lire. Lo
comprai.
A mia madre piacque. Lo portava con sé, in giro per la
casa, nella tasca del grembiule. Me la ricordai in cucina, in ginocchio su una sedia,
mentre lo sgranava. Sussurrava l'Ave Maria, gli occhi fissi al muro. Si torceva
tra le dita la coroncina luminosa. Io sapevo che non dovevo interromperla. «È
un rosario che ho promesso», rispondeva se le chiedevo il perché ogni sera
recitasse quelle preghiere. «Per che cosa?». «Molti anni fa», diceva, «una
grazia che ho ricevuto».
Il giorno che mia madre morì, ritrovai il rosario. Era
appeso allo specchio della credenza di mia nonna. Me lo portai via con tutte le
cose appartenute a mia madre. Una notte nella quale non riuscivo a dormire,
inquieta per qualcosa, mi venne in mente. Mi alzai da letto e lo tirai fuori
dal cassetto del guardaroba dove lo custodisco insieme agli altri oggetti suoi.
E nell'oscurità, mi accorsi che non s'illuminava più. I grani, il crocefisso,
erano anneriti, la corda che li univa si era logorata.
La coroncina aveva perso la forza fantastica che mi
aveva incantato da bambina. Era diventata una cosa grigia, sporca. Piansi.
È
una notte senza luna. Il magnetismo dal mondo è scomparso.
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