Dei giornalisti gastronomici stranieri colpiva
l'ignoranza.
«I maiali», raccontai a questo ragazzo venuto dalla
Svezia, mentre ci addentravamo nel quartiere medioevale, «nei secoli trascorsi, razzolavano allo stato
brado. Si nutrivano di ghiande. La nostra regione ne è sempre stata ricca. I
longobardi, poi, portarono con sé la tradizione germanica della salsiccia».
L'avevo sentito dire da Piero Angela, una puntata di
'Quark' dedicata alle invasioni barbariche.
«Lei mi sta dicendo che corrono liberamente nei
boschi?» m'interruppe passandosi le mani sotto le ascelle.
Era un tipo dai capelli a spazzola, con le mascelle
sporgenti come un eroe dei videogiochi. Gli arti, gambe e braccia, erano molto
lunghi. Muoveva le mani in continuazione; forse era un tic.
«Adesso vivono nei porcili. Edifici di cemento simili
a caserme rumorose e puzzolenti. Ma qualcuno in libertà c'è ancora. Ed è
proprio da loro, che si ricavano le salsicce più succulente e tenere. Peccato
che quelli sporadici in libertà siano un pericolo pubblico. Tanto più che le
foreste di querce sono praticamente scomparse, e i suini non trovano più mezza
ghianda da papparsi».
«…Le povere bestie», spiegai sbucando davanti alle due
torri, «non sanno più con che cosa sfamarsi, e dunque li si può ritrovare nei
pressi della tangenziale, oppure sotto i cavalcavia. S’incontrano anche lungo
l'asse attrezzato. Si nutrono di tutto: cellophane, cartone, copertoni. Pare si
siano rosicchiati perfino un pezzo della terza cinta muraria della città».
Il giornalista smise di scrivere. Allungò lo sguardo
sul corpo della torre Asinelli, poi mi spiò di traverso.
«Ok», disse. Puntò la biro in direzione della mia
faccia, come fosse l'arma per uccidermi.
Mi diede un colpetto alla spalla. Avevo esagerato.
Aveva capito lo scherzo. Ridemmo.
«Ma le due torri sono sempre state in questa
posizione?».
«Eh, sì».
«Al centro della strada? In mezzo al traffico?».
«Già».
«Perché non le hanno costruite sulla piazza?».
«E' zona pedonale. Non c'era alcun bisogno di deviare
la circolazione».
Ridemmo.
Da allora, tra me e lui scattò una specie di alleanza:
della serie, ho dimostrato la mia superiorità e adesso siamo proprio come due
fratelli.
«I romani non erano allevatori», dissi. «Erano
guerrieri. Sempre in giro a menar le mani nelle colonie. Però con la carne di
maiale si producevano gli insaccati. E per i panini andavano pazzi. Mangiare al
sacco. Erano sempre fuori casa. Durante le campag ne
militari in Africa o Dacia, averci in saccoccia un paio di sandwich farciti era
d'obbligo».
«Il salame si mangia col pane?».
«Certo», risposi, non mostrando alcuna sorpresa per la
domanda. «Si taglia e infila nel panino: così». Feci combaciare i palmi,
mimando le fette di pane che si richiudevano.
«Parliamo dei panini. Ai romani, gli piaceva godersi
il panorama della città dalla cima delle torri, eh?».
Gli spiegai che quelle furono costruite parecchi
secoli dopo la colonizzazione romana.
«Ah sì? Peccato. Mi piace pensare agli antichi che da
lassù, gustandosi i loro sandwich, si godevano il panorama».
Vidi che scriveva le sue stesse parole.
[dalla Guida gastronomica]
Nessun commento:
Posta un commento