Poi la notte non dormo. Mi ritorna in mente una
vecchia foto che ritrae mia madre bambina. Mia madre imbronciata, i capelli
arruffati, in piedi contro il muro scrostato di un casolare in campagna, con
una bambola per mano. Una bambola alta quanto lei, con indosso un abito di
stoffa, le scarpe smaltate sui piedi, e senza occhi. Come se qualcuno li avesse
strappati via, al posto degli occhi ci sono due cavità scure. Gli occhi di mia
madre invece sono selvatici, meravigliosi. Gli occhi di una bambina che tiene
per mano la sua bambola preferita. «Tenere per mano quella bambola», mi disse
un giorno, «era la mia felicità».
Mi alzo, vado in terrazzo. C'è la luna piena. Una luce
spettrale che striscia sul tavolo di pietra, si attacca alle sedie. È come
stare in teatro, essere unica protagonista sotto i riflettori del palcoscenico.
A volte la vita è così. È possibile osservare la
propria ombra riflessa sul muro e non riconoscersi in quell'ombra. Muovere una
mano e controllare se anche l'ombra sul muro segue lo stesso spostamento. Torna
dentro, penso, a letto.
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