martedì 30 luglio 2013

Gallagher e il tortellino

«Il giornalista gastronomico che dovrai intrattenere sul tortellino è italiano», m’informò Clizia.
«Uhm».
«Un torinese».
«E perché non si arrangia da solo?».
«Mika, mi raccomando. Fammi fare bella figura. Chissà mai che non ci mandi qualche collega danaroso. Incantalo coi tuoi begli occhioni. Fallo sognare». Aggiunse che aspettava l'arrivo di un truccatore brasiliano, ospite nel suo bed and breakfast, in città per la rassegna 'Cosmoprof', la fiera dei cosmetici e profumi.
Il torinese alloggiava al Grand Hotel, l'ingresso che si affaccia sulla strada dello shopping compulsivo.
C'è un flusso di gente, che nei pomeriggi festivi percorre via dell'Indipendenza; in giù diretto alla stazione e indietro di nuovo puntando verso il centro. E poi da capo, un movimento incessante, fino al tramonto. Le vetrine assorbono il fiato di questi passeggiatori, le mani che ci si appoggiano sopra per riconoscere un'offerta speciale.
Una folla che forma un'etnia speciale; massicce catene stampate sul petto degli uomini e minigonne inguinali a fasciare il sedere delle donne. Dove abitino, gli shopper del weekend, dove vadano, quando lasciano la città, non si sa. Max dice che salgono su dai tombini, nelle notti di plenilunio e laggiù fanno ritorno. Li chiama 'i mostri del ciclo di Cthulhu'.
Il rettilineo delle vetrine si interrompe in corrispondenza del Grand Hotel.
Quando arrivai, quel pomeriggio, la passerella che accompagna la scalinata dell'ingresso era affollata da una calca disumana. Fotografi, telecamere, giornalisti, gruppi di adolescenti con indosso la maglietta degli Oasis. I componenti della rockband dormivano là.
Esibii il mio tesserino da guida. Con un inchino, i due uscieri in livrea mossero le pesanti porte vetrate dagli infissi oro.
Entrando nella hall, subito si è investiti da una vampata di aria coloniale. Il lampadario in vetro di Murano getta sull'ambiente una luce sfavillante. Uno scalone ondulato, attraversato dal tappeto di velluto rosso, come se ne vedono in certe scenografie hollywoodiane degli anni Quaranta, sale su ai piani alti. Ma di Rita Hayword, neanche l'ombra. Vomita a terra coppie di obesi turisti americani, in shorts e ciabatte da spiaggia.
Mi sedetti in una delle poltroncine decorate con le iniziali GH, addossate alla parete. Sulla consolle, c'è uno strano soprammobile. Una forma a metà tra vaso e cuore umano, sorretta da un piedistallo. Al centro del tavolo in stile Impero, troneggia un bouquet di orchidee finte al profumo di rosa.
La sala era deserta, tranne che per quattro energumeni, i bicipiti modellati sotto la maglietta siglata STAFF, che stazionavano di fianco all'ascensore e ai piedi dello scalone, di guardia.
Mentre aspettavo il giornalista, sfilai una delle dieci copie gratuite di un quotidiano nazionale e m'immersi nella lettura. Lessi dello sciopero generale proclamato dai sindacati come protesta contro lo sgravio fiscale che la nuova finanziaria riserva ai redditi alti. Finché l'ascensore si aprì e apparve il torinese.
«Scusi il ritardo», disse porgendomi la mano, grassoccia ed esangue. «Quando si viaggia, sono sempre infinite noie. L'inferno sono gli altri, direbbe Sartre».
Non si trattava del solito ragazzotto. Era un uomo sui cinquanta, doppiopetto, baffetti modellati in una sagoma stile Risorgimento. Mi disse subito che non intendeva schiodarsi dall'hotel.
«Detesto camminare, mi perdoni, la fatica fisica. Mi muovo solo per dedicarmi a interviste eccellenti: Paul Bocuse, Heinz Beck, Gualtiero Marchesi. Quando davvero ne vale la pena, mi capisce». Si guardò intorno con aria da padrone. «Ci possiamo senz'altro accomodare laggiù».
Indicava la scrivania laccata che affianca lo scalone.
«…La metto subito al corrente dei miei piani, signorina. Vede, sto scrivendo un libro sull'origine e storia sociale del tortellino, gloria gastronomica della vostra meravigliosa città. Un volume che andrà in stampa a fine anno, per un grande editore».
Fui presa da un attacco di panico. Cara Mika, mi dissi, prima o poi sarebbe successo, e in questo caso, prima del previsto. Che nonostante le assicurazioni di Clizia, l'esperto di gastronomia sarebbe arrivato. E lo avrebbe scoperto, che di suinicoltura intingoli e gourmet, non ne sai un'acca. Che sei una guida gastronomica sì: ma per soldi.
Mi sentii ad un bivio. Alla fine di una carriera mai voluta, costruita sulla menzogna. Fissai la parete davanti. Sopra è dipinta una scena boschereccia, una donna a cavallo e il suo cane. Pensai che la donna si fosse persa.
In quel momento, in cima alle scale, apparve un Gallagher: faccia smunta dietro enormi lenti azzurrine, chioma divisa in ciuffi rigidi sulla nuca. Lo seguivano due bionde dalle labbra sporgenti. Appena si venne a trovare lungo la direttrice dell'ingresso, da fuori si levarono le urla: «Liam! You are the best!».
«Il popolino», disse il giornalista scuotendo la testa. «Ha ciò che si merita, non trova?».
Il Gallagher si tolse gli occhiali da sole. Nel suo sguardo c'era una fredda indifferenza.
«Le rockstar dei giorni nostri», commentò il torinese, «hanno la sfortuna, o la fortuna, a seconda dei punti di vista, di essere sempre la copia di qualcuno. L'originale, purtroppo, è scomparso da tempo... D'altra parte», proseguì, «a chi interessa più l'originale? Mette spavento. E' qualcosa di incomprensibile. Agita le menti. Genera inquietudine… Ecco, io voglio da lei proprio ciò che quel signore laggiù rappresenta. Che lei si concentri, e mi dia lo stereotipo”.
Lo guardai incredula. Lo stereotipo?
«Sì, un resoconto dettagliato delle sciocchezze, corbellerie che circolano sul tortellino e nel mondo ne alimentano la fama. Ciò che la gente vuole sentirsi dire su questa specialità. Per trovarla unica, amarla, scovargli una sua sublime poeticità».
Fantastico, pensai, vuole da me un cumulo di balle.
«Mi sono spiegato?» domandò.
«Certo», dissi, «certamente».
Mi sentii a mio agio, di nuovo nel mio ruolo.
E neppure occorre inventare. L'aneddoto esiste già. La faccenda dell'ombelico, intendo. Una storiella goliardico-erotica, che tutti gli abitanti della città conoscono.
Parla di un giovane garzone di bottega che viene un giorno spedito dal fornaio suo padrone a prendere la farina che serve per impastare il pane.
Il giornalista cominciò a stenografare, euforico: «Benissimo! Vedo che io e lei ci intendiamo alla perfezione!».
«Questo ragazzo si mette in cammino», raccontai, «e raggiunta la casa del fornaio, va dritto nel magazzino, a caccia dei sacchi di farina».
«A piedi», disse il giornalista.
«Be', sì».
«E d'altra parte, in quale altro modo poteva spostarsi un povero figliolo di campagna? Mica c'erano gli Intercity».
«Quando si trova nel magazzino, il ragazzo cerca e non trova nulla»,  proseguii.
«Disorganizzazione».
«Come?».
«Vada pure avanti. Per la sua strada che io la seguo».
«Il giovane sale dunque al primo piano, dove è l'abitazione del fornaio».
In quel momento, girando lo sguardo verso l'uscita, vidi qualcosa precipitare ruzzolando nella hall dell'hotel, planare fin sotto la reception, istantaneo come un bolide. Era un corpo femminile. Una ragazza, piccola e rotonda, t-shirt con sopra scritto OASIS TOUR e sotto, nomi di città europee, date.
«Liam!» strillò agganciando i jeans del Gallagher. «Liam! I love you!».  Li fece scendere e scoprì una striscia di boxer.
Lui, che non era Liam, ma il Gallagher sbagliato, fece un giro su se stesso, pettinandosi. Con mossa istantanea, uno degli energumeni si avvicinò e la staccò. Il Gallagher si tolse la felpa e la lanciò nelle mani di lei.
«Next time I will give you my pants, babe», che la prossima volta, le avrebbe smollato le mutande.
Proseguii nel mio racconto.
«Il giovane garzone cammina in punta di piedi sul pavimento scricchiolante della casa del fornaio, incerto su quale stanza visitare, su dove possono essere custoditi i sacchi di farina».
«’Scricchiolante'», ripeté il giornalista. «Molto bene. Questa parola è un capolavoro di banalità».
Caro torinese, stavo per dirgli, io sono un'impenitente manipolatrice di banalità!
«Tutt'intorno regna un silenzio assoluto, non vola una mosca», raccontai invece. «La casa del fornaio sembra vuota. Finché arrivando in fondo al corridoio, vede una porta…».
Smise di scrivere. Appoggiò il taccuino sulla scrivania, si allentò la cravatta. Da fuori provenivano urla rabbiose. La felpa del Gallagher era stata lacerata. Mille mani cercavano di accaparrarsene un pezzo.
«Scena sublime! Impagabile! Un tempo ci si litigava le reliquie dei santi… Ogni epoca ha le sue santità promesse. I suoi mausolei. Ma mi scusi l'interruzione. Il suo racconto è molto interessante, sa».
«Il garzone si avvicina alla porta», dissi. «Questa è socchiusa. Lui la spinge appena, apre senza far rumore. E cosa vede?».
Il torinese impugnò la penna: «Oh, uno stuolo di fotografi, giornalisti, tecnici del suono…».
«E invece no: vede una donna».
«Ah, naturalmente! Toujours les femmes!».
«E chi era, se non sono indiscreto?».
«La moglie del fornaio».
«Ma certo. E chi altro poteva essere, in quel luogo a quell'ora…».
«Sta dormendo. E' distesa, abbandonata nel letto, i capelli sciolti sul cuscino. Si gira e si rigira tra le lenzuola».
«'Abbandonata nel letto': orrenda espressione!» disse lui stenografando veloce. «Très bien!».
«Sì, è un sonno, il suo, popolato di incubi… Si scopre», raccontai, «le lenzuola scivolano a terra e la camicia da notte si solleva. Il garzone la vede di spalle, poi si volta su un fianco, e il garzone adesso la può vedere frontalmente».
«Mm», disse il giornalista, «era una strega o che cosa?».
«Sulla pancia della donna c'è uno splendido ombelico».
«Apperò! Bene! Super!».
«Il garzone torna a casa. Ma quella notte non riesce a prendere sonno. Per colpa dell’ombelico, che l'ha turbato nel profondo».
«Autoerotismo», disse il giornalista.
«Non riesce a toglierselo dalla testa. Ci pensa e ripensa finché, nel cuore della notte, ecco che il garzone si alza».
«La masturbazione non sempre è soddisfacente».
«Si sente ispirato. Rapito. Inebriato».
«'Inebriato'», ripeté il giornalista scrivendo.
«E inventa questo genere di pasta che nella forma rievoca appunto quella di un ombelico», conclusi.
«E poi?».
«Basta. La storia finisce così».
Ci stringemmo la mano.
«Ha fatto un eccellente lavoro», si complimentò il torinese. «Ma davvero la pagano per raccontare queste stronzate?».
In quel momento, l'ascensore vomitò fuori Liam, il Gallagher giusto. Camicia safari, frangia interrotta dai Rayban.
[dalla Guida gastronomica]

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