«Enrico Letta, a momenti compie
cinquant’anni», dico, «giovane non è». Sono con Zelda. Davanti al memoriale dei
partigiani, in piazza del Nettuno, si compie la celebrazione. I bersaglieri
strombettano l’inno d’Italia, ci sono le
corone d’alloro, le spillette col tricolore. «…Che Napolitano dica Affido il
mandato di formare il nuovo governo a Enrico Letta perché, benché sia giovane,
già ha maturato una buona esperienza politica… Ti sembra una frase appropriata?»
dico. «…Come se essere giovani e agli esordi fosse un difetto». Zelda non risponde. Guarda gli
studenti barbuti che si mischiano agli ex partigiani. «Quelli sono giovani»,
dice. Da quando ha rotto con Scott è ringiovanita; Rayban nuovi di zecca,
chioma ramata che le luccica al sole, è perfino abbronzata. «Io penso che il
paese semmai di una mente lucida e sgombra abbia bisogno», dico, «mica di un
artigiano che rimetta insieme dei cocci di politica». «Sto leggendo dei racconti
di Maupassant», dice lei, «in francese. Molto belli». Dice che le piacerebbe andare a
Venezia, a vedere la mostra di Manet, che vorrebbe trasferirsi a Ginevra, dato
che lì da un anno studia. Cioè, dei miei discorsi arrabbiati, se ne infischia. Ma essere
evasivi, Zelda, è facile da farsi, facile da dirsi, penso.
So so so.
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