«Colazione all'inglese per tutti gli ufficiali di sua
maestà!» diceva mio padre la domenica mattina. Metteva
la padella sul fornello. Accendeva la fiamma. Estraeva dal frigo un uovo. Tac!
Con un colpo secco lo spaccava tra le dita e il palmo. L'uovo scivolava in
padella, il tuorlo integro nel mezzo, l'albume che in pochi secondi gli si
rapprendeva intorno. Mio padre ci stendeva a friggere vicino delle fette di
salame. «Non erano cattivi, gli inglesi», diceva. Ricordava l'Africa. Gli
inglesi cercavano un cuoco tra i prigionieri raccolti nel campo libico. «Io!»
si offrì mio padre. Mentiva. Aveva fame. Imparò a cucinare l'uovo fritto col
bacon. English Breakfast. «La pancetta», diceva versandoci l'uovo nel piatto, a
mia madre e me, «mica c'era, in Libia. Bisognava far finta che lo strutto fosse
pancetta. Il cuoco faceva finta, gli ufficiali inglesi facevano finta. Amici o
nemici, sull'identità della pancetta, ci si metteva d'accordo. Perché conveniva
così», diceva mio padre. «Era un inganno che serviva a tutti per sopravvivere».
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