lunedì 13 marzo 2017

Racconto di milleduecentosettantun caratteri intitolato 'Prove di dialogo in lingua straniera'

Nel mio palazzo vivono due coppie, una napoletana, l’altra russa. Sono amiche. Una sera discussero. «È stato il Duce a bonificare l’Agro Pontino, che prima era tutto palude!» diceva la coppia napoletana. «È stato Stalin a completare la rivoluzione proletaria, patrimonio culturale dell’umanità!» diceva la russa. Ciascuno difendeva il dittatore suo connazionale. Ma il giorno dopo le mogli chiacchieravano in pace. «Nella pizza l’olio piccante è d’obbligo, eh» diceva la napoletana. «La miglior pizza della mia vita, l’ho mangiata in un ristorante di Mosca» diceva la russa. Tra di loro comunicano in francese. I primi emigranti italiani di St. Louis, Missouri, furono dei lombardi. Arrivarono alla fine dell’Ottocento, lavoravano nelle cave d’argilla e nelle fornaci. All’inizio del Novecento fu la volta dei siciliani. Finalmente gente come noi! si dissero i lombardi, che soffrivano, si sentivano negletti, stranieri. «Benvenuti, cari compatrioti!» dissero in dialetto lombardo ai siciliani. «Uh! Ma che minchia di lingua parlate?» dissero i siciliani in siculo. Non si capivano. Non riuscivano a comunicare. Sebbene fossero tutti italiani, si scoprivano gli uni agli altri stranieri. I figli avrebbero insegnato loro l’inglese. «Disporre di un’altra lingua, una lingua comune» dissero i figli «è indispensabile, anche se si è uguali».

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